David Sassoli al Corriere: «Qui a Bruxelles c’è fiducia nell’Italia. Ma non può agire come prima del Covid»
«Credo che l’interesse sia soprattutto volto a capire se ci saranno tagli rispetto alla proposta della Commissione e dove. Di quanto e dove, lui non lo ha indicato. C’è convergenza sul riuscire ad avere un accordo che sia utile alla ripresa, tenendo insieme il piano di ripresa e i programmi tradizionali a lungo termine dell’Unione. Un buon vento accompagna anche l’idea di inserire nuove risorse proprie dell’Unione europea: è una priorità del Parlamento, utile a creare una capacità di autofinanziamento dell’Unione».
I Paesi nordici chiedono un controllo sulle riforme che i beneficiari del Recovery Fund faranno.
«Questa è una stagione di investimenti e riforme, e vale per tutti. Abbiamo bisogno di rilanciare l’economia e di un impegno dei governi con riforme che irrobustiscano e rilancino il mercato europeo».
Anche sulla giustizia e l’amministrazione?
«Tutte le riforme che consentano ai 27 mercati di integrarsi di più: giustizia, istruzione, ricerca, mercato del lavoro. Grandi riforme strutturali, nessuno può esimersi».
Quali istituzioni verificano le riforme: la Commissione, gli altri governi attraverso i comitati di lavoro a Bruxelles, l’europarlamento?
«C’è stata ieri da parte di Merkel, Michel e von der Leyen una chiara apertura per un coinvolgimento maggiore del Parlamento. Un accordo interistituzionale sulla governance di tutto questo pacchetto è la strada da seguire».
Non è che la riluttanza dei governi a usare i nuovi strumenti del Mes dà il messaggio che i prestiti non servono e allora la parte di prestiti del Recovery Fund può essere sforbiciata?
«Un po’ c’è questa sensazione. Il piano punta molto sulla quota dei trasferimenti diretti e questo mette in secondo piano la questione dei prestiti. Ora, non basta dire che ci saranno i trasferimenti. Il punto è: per cosa? Io credo che debbano esserci dei giudizi sui piani nazionali perché, se non si allineano con le priorità europee, diventerebbero incompatibili. Si tratta di armonizzare le politiche dei 27 sulle sfide europee: digitalizzazione, Green Deal, con quel che comporta, Resilienza. Abbiamo bisogno di essere più autosufficienti, dobbiamo riportare molte produzioni in Europa e esprimere una vera presenza sulla scena internazionale. C’è un prima e un dopo il Covid, non so se tutti se ne sono resi conto…»
La preoccupa che magari non tutte le forze politiche in Italia, anche di governo, hanno capito la sfida?
«Guardi, non voglio entrare in questioni italiane. Mi chiedo solo dove sono i dibattiti sulle grandi riforme di cui anche l’Italia ha bisogno. Dov’è il dibattito sul sistema regionale, sul mercato del lavoro, sulla lotta alla povertà, sul green deal nazionale, sulla ristrutturazione del servizio sanitario, sulla lotta all’evasione? Ecco, credo che la concentrazione del Paese in questo momento debba essere sulle sfide che il Covid ci mette di fronte».
In teoria gli Stati generali erano su questo, no?
«Un governo che ascolta secondo me in questo momento è anche utile. Il problema è che dopo bisogna rimboccarsi le maniche. A leggere i giornali si ha l’impressione di un Paese che fa tutto per tornare a quello che era prima del Covid. Questo mette un po’ di preoccupazione».
Mette preoccupazione a lei, o ai governi europei con cui l’Italia deve negoziare il Recovery Fund?
«Credo un po’ a tutti. Qui a Bruxelles si parla molto delle previsioni catastrofiche dell’economia. Per l’Italia è un tema aperto. Ieri la Merkel ha detto che l’Europa è di fronte all’abisso. Non vorrei che il dibattito politico italiano riflettesse la nostalgia di tornare a passare l’estate al Papeete».
Non è che questa percezione sull’Italia indebolisce la posizione negoziale del governo sul Recovery Fund?
«In questo momento, devo dire, in Europa c’è grande fiducia verso l’Italia, perché l’Italia è davvero il termometro di ogni sforzo di ripresa dell’economia europea. Il governo riscuote fiducia. Quel che ci si aspetta è anche una velocità di interventi. E su questo forse una concentrazione maggiore servirebbe».
Il commissario Paolo Gentiloni è preoccupato per quel che può succedere in autunno in Italia. Lei?
«Sa, quando hai una previsione di meno 11,2 del Pil, credo che ogni ipotesi possa verificarsi. Non c’è preoccupazione, c’è terrore. La preoccupazione non darebbe l’idea delle conseguenze che questi dati potrebbero provocare sul piano sociale».
E se non si riuscisse a chiudere il negoziato sul recovery Fund e si arrivasse fino all’autunno?
«Ci siamo dati un metodo. Deve arrivare la proposta di Michel, ne deve discutere il Consiglio. Il Parlamento europeo è pronto anche a plenarie straordinarie in estate. Bisogna verificare passo per passo la coerenza degli interventi».
Ma l’accordo prima della pausa estiva è alla portata?
«Tutti ce lo auguriamo. Ma dev’essere un buon accordo. Bisogna fare in fretta, ma soprattutto bisogna fare bene».
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