l rischio della democratura

Se fossimo in un altro mondo potremmo berci sopra una birra alla proposta del presidente Giuseppe Conte di prolungare a fine anno lo stato d’emergenza. Passerà dal Parlamento e otterrà il permesso, anche di insistere con i dpcm, i decreti del presidente del Consiglio, quel simpatico modo di legiferare per cui il premier dispone e impone, col disturbo di doversi accordare con sé stesso, più o meno, e senza nemmeno fare un fischio agli eletti. Potremmo berci sopra una birra se non fossimo davanti a un governo non raramente inconsapevole della forma e della sostanza a fondamento delle democrazie liberali.

Quando è nato il governo giallorosso, in sostituzione del gialloverde, con maggioranza in Parlamento ma in minoranza nel Paese, lo si benedisse, con qualche ritrosia, sul calcolo di Catalano che avere un partito populista a Palazzo Chigi è meglio di averne due, e nella speranza che il nuovo socio, il Pd, lasciasse prevalere quel che resta della sua sapienza istituzionale sul suo, di populismo. Non è successo. Nel rapporto con la democrazia parlamentare e con l’amministrazione della giustizia, la sapienza istituzionale ha ceduto come i pantaloni senza cintura. Si va avanti con la passione dei ghigliottinatori di Place de la Concorde nel taglio punitivo dei parlamentari, non dentro una riforma complessiva, ma nell’idea a cinque stelle di far fuori una percentuale di intrallazzoni e di mangiapane a tradimento, nella spedizione a serramanico contro i vitalizi a qualche residuale decina di ottuagenari o centenari, e non in nome della solidarietà, ma della restituzione del bottino, nell’andazzo progressivo del governare con la lama alla gola della fiducia, della decretazione d’urgenza, e ora con la passeggiata di salute dei dpcm, coi parlamentari felicemente ridotti allo status di ospiti dei talk e di smanettatori da social, e nella paciosa indifferenza dei presidenti delle camere, una ricordata per l’elogio al parlamentarismo cinese, l’altro per l’indisponibilità a evolvere dal calibro del più intelligente del centro sociale. 

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