Lo sguardo (attento) dal ponte
I Benetton sono disponibili a fare un passo indietro e ci mancherebbe altro. Si potrebbe recidere il legame con la famiglia veneta, ormai politicamente insostenibile, con un aumento di capitale di Aspi, il cui valore era stimato prima della pandemia in 14 miliardi. Oggi molto meno. L’ingresso nell’azionariato della Cassa depositi e prestiti (Cdp) — come avrebbe scelto il governo — appare una possibile soluzione. Non è da scartare nemmeno l’ipotesi che l’intervento avvenga a monte. Atlantia è un gestore strategico delle reti (Aeroporti di Roma, per esempio). La holding italiana è presente in 22 Paesi. Ha 31 mila dipendenti. Anche in questo caso i Benetton si diluirebbero uscendo di fatto dal governo societario. Ma non dimentichiamoci che Cdp gestisce il risparmio postale degli italiani. Deve essere messa in condizione di fare un buon investimento. Non di obbedire a una scelta politica disancorata da qualsiasi valutazione economica. O peggio, semplicemente per eseguire una vendetta politica. C’è poi un particolare che è sfuggito ai più. Il 30 giugno è scaduto il termine per esercitare il diritto di recesso previsto dall’articolo 9 bis della convenzione del 2007. E a esercitarlo, o a mettersi in condizione di esercitarlo, è stata Aspi. L’articolo 35 dell’ultimo decreto Mille proroghe del dicembre scorso, ha ridotto da 23 a 7 miliardi l’eventuale risarcimento in caso di revoca. Nello stesso testo è previsto che, sempre in caso di revoca, Anas subentri subito nella gestione. Ma poi sarebbe necessaria una gara europea, salvo infrangere il diritto comunitario.
Ora se il governo dovesse scegliere la linea dura, quella che piace ai grillini, oltre a dare un messaggio a tutti gli investitori che gli umori politici e le emozioni in Italia prevalgono sulla ragione e sul diritto, trascinerebbe lo Stato in una lunga controversia giudiziaria. E la cifra che alla fine potrebbe finire sul gobbo dei contribuenti (ma fra molti anni e ci sarà un altro governo) sarebbe presumibilmente a metà strada tra 7 e 23 miliardi. Insomma, Autostrade, dopo avere per anni goduto di tariffe alte, fatto pochi investimenti (e per giunta troppo con società controllate in house) e messo in pericolo l’incolumità pubblica, verrebbe pure ricoperta (e con essa gli azionisti, Benetton compresi) di miliardi pubblici. Il colmo.
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