La fine del mondo, 60 anni fa

Ma partiamo dall’inizio. Cioè dalla crisi mistica in cui precipitò a metà degli anni Cinquanta un pediatra milanese dalla barba più alpina che profetica, Elio Bianca. Il quale raccontò che la sorella minore Wilma, spirata nel letto dei dolori dicendo «mi spengo per tutta l’umanità ma resterò sempre con voi», gli era apparsa in sogno e l’aveva messo in contatto, come si legge in una cronaca del «Corriere d’Informazione», «con gli spiriti dell’aldilà, spiriti di prima classe come Carducci, Leopardi, Demostene, D’Annunzio. E infine con l’arcangelo Gabriele e con il Logos». Il Verbo.

Il quale Verbo, dettandogli attraverso l’Arcangelo, nel corso di sei anni, nientemeno che «diecimila cartelle dattiloscritte in rosso stampatello» (parola di un grande inviato e scrittore ricco di ironia del nostro quotidiano, Enzo Grazzini) ispirò il pediatra a cambiare nome ribattezzandosi Fratello Emman, a fondare una setta religiosa chiamata Comunità del Massiccio Bianco, a indossare lunghe tuniche cerimoniali e distribuire infine moniti e profezie. Su tutte questa: il 14 luglio 1960, alle 13:45 (non un minuto prima, non un minuto dopo) da qualche parte non precisata del mondo sarebbe avvenuta un’esplosione termonucleare, causata da una «Bomba Eta». E questa esplosione avrebbe scatenato una serie di terremoti e maremoti così sconvolgenti da sterminare i due miliardi di esseri umani (tanti eravamo, sessant’anni fa) e sommergere i cinque continenti, consentendo di sopravvivere solo a piccole minoranze. Tra le quali, appunto, i fedeli che si fossero rifugiati col Profeta nel loro rifugio. Il Pavillon Gehovonise, sul Monte Bianco, preso in affitto da una guida alpina. «E voi come la sapete, la data?», gli chiese un cronista della tivù francese. E lui, il pediatra: «La sappiamo per la rivelazione dataci da Dio».

Walter Molino ci fece una copertina della «Domenica del Corriere». Col dottor Elio Bianca in tunica da profeta che sfidava nel cielo della valle gli spettri dei Cavalieri dell’Apocalisse. La didascalia irrideva al «finto santone». «Un ridicolo Messia». L’autore del reportage, Vincenzo Gibelli, raccontava dei nomi con cui i «fedeli» erano stati ribattezzati. Tutti presi «dalla Olosemantica monotematica, una lingua antichissima, più ancora del sanscrito, che sarà parlata dai superstiti del diluvio». Precisava tuttavia che l’Altissimo parlava al suo nuovo Mosè milanese in italiano e che questi registrava a sua volta i messaggi, altrimenti muti, su un magnetofono.

I più scettici, raccontò il «Corriere», erano i vicini di casa del medico-Messia, che viveva vicino a Porta Venezia: «“Non dovrebbe dire queste cose — ha detto una signora che abita nel caseggiato — ci sono i malati di cuore”. “La natura la fa semper disaster. Semm tucc provisori”, ha commentato un’altra, con qualche preoccupazione». Certo è che un filo di angoscia, a leggere i giornali in quei giorni, si infilò sottile sotto la pelle di tanti. «Questa faccenda dura ormai da qualche tempo ed è dal 1958 che le cronache estive si occupano di queste persone un po’ strane accampate a 2.173 metri del massiccio del Monte Bianco sopra Courmayeur», scrisse un giornale, «Ma ora si sta avvicinando il “dunque” e molti man mano che trascorrono i giorni mostrano di impressionarsi con gravi conseguenze per i loro nervi».

E fu lì, proprio il giorno fatidico, che il «Corriere» regalò ai lettori quel gioiello giornalistico di Dino Buzzati (disponibile per gli abbonati a Corriere.it; qui sotto se ne può leggere uno stralcio): «Calcolando che per leggere questo articolo ci vogliano circa 7 minuti, il lettore, o la lettrice, si troverà alle ultime righe proprio quando succederà la fine del mondo (prevista, com’è noto, dal “fratello Emman” per le ore 13,45 di oggi, 14 luglio 1960, giorno di San Bonaventura). D’accordo. Gli ultimi istanti di questa dannatissima esistenza si possono impiegare meglio che non leggendo la prosa dell’umile sottoscritto. Sia buono, però, almeno uno di voi. Mi accontenti, e legga. Non pretendo questo da chi ha famiglia e logicamente ci tiene a scambiare gli ultimi frizzi coi genitori, con la moglie, coi figli. Né da chi ha al suo fianco la donna amata. Figurarsi se avrebbe voglia di spendere l’estremo pezzettino di vita sulla terza pagina del “Corriere della Sera”. Ma ci sarà pure qualche solitario, sprovvisto, per una ragione o l’altra, di persone care a portata di mano o di voce. E che si guarderà intorno, chiedendosi: “Be’, questi ultimi minuti come li posso impiegare?”. Si sieda costui (o costei) sulla poltrona, accenda una sigaretta, apra il giornale e mi legga, per favore. Dio mio, come sarei felice di sapere che, nel preciso attimo che il mondo sprofonda nel nulla, c’è uno che sta leggendo un mio articolo. Finirei veramente in bellezza».

La mattina dopo, la testa bassa sotto gli occhi di un poliziotto e di un carabiniere, tolta la veste da Profeta, rimessa la camicia a quadri, accantonata la lingua olosemantica monotematica, il sedicente inviato di Dio leggeva un comunicato: «Tutti possono sbagliare». La sera stessa, a Courmayeur, annunciarono l’idea di eleggere una «Miss Finimondo».

Un brano dall’articolo di Dino Buzzati

Ci perdoni il «fratello Emman», capo della Comunità del Monte Bianco (con la quale i cosiddetti testimoni di Geova non vogliono assolutamente essere confusi) ma la sua profezia è un capolavoro di inopportunità. Possibile? Far succedere la fine del mondo quando i galantuomini, seduti a tavola, stanno sbucciando una pesca, o assaporano il caffè o, peggio ancora, hanno appena iniziato il santo sonnellino pomeridiano! Una seccatura simile proprio nella pausa di distensione pomeridiana che fa respirare di sollievo l’umanità affaticata. È inammissibile. E contrario a tutte le regole della buona creanza. Alla fine del mondo — la cosa è addirittura elementare — si addice la sera, allorché le preoccupazioni e il travaglio del lavoro si placano, e l’animo desideroso di svago, si rivolge volentieri a cose vivaci ed elettrizzanti come può essere appunto l’Apocalisse. Pazienza. Facciamo buon viso a cattivo gioco, e non mostriamoci troppo indispettiti se i quattro famigerati cavalieri suoneranno alla porta di casa nostra a un’ora così indebita. Ma il «fratello Emman» abbia un po’ più di buon gusto, la prossima volta. (Dino Buzzati)

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