Quanto poco rimane dietro le parole

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di   Aldo Cazzullo |

La discussione pubblica in Italia, e purtroppo anche la linea del governo, pare un gigantesco convegno. I titoli sono accattivanti: innovazione, formazione, digitalizzazione; senza dimenticare l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Ma restano purtroppo titoli. Slogan. Annunci. Di concreto c’è poco; se non un’azione — necessaria ma insufficiente — per congelare la crisi almeno sino all’autunno.

Blocco dei licenziamenti, proroga della cassa integrazione, reddito d’emergenza. Tutto giusto. Ma un grande Paese industriale non può vivere di sussidi aspettando che passi la nottata. Occorrono sia una visione, sia misure concrete. Per ora non si vedono né l’una, né le altre.

Il ponte di Genova — che ha sia un significato simbolico di riscatto, sia una funzione pratica per ripristinare i collegamenti tra quello che una volta si chiamava il triangolo industriale — è fatto; ma la vicenda della concessione delle Autostrade è tuttora irrisolta, come ha spiegato ieri Ferruccio de Bortoli. Purtroppo non è l’unico dossier di pagine bianche, l’unica cartellina plastificata e colorata che nasconde il nulla.

Prendiamo il piano nazionale delle riforme. L’Italia è stata l’ultimo Paese a portarlo in Europa. Cosa c’è dentro? Avete indovinato: digitalizzazione, giovani, e poi ovviamente transizione ecologica, formazione permanente… Parole, appunto. Intendiamoci: anche gli altri Paesi si sono rifugiati più nelle formule che nei provvedimenti operativi.

Emmanuel Macron ha rivendicato «l’indipendenza industriale, agricola, tecnologica» della Francia e dell’Europa; obiettivo senz’altro condivisibile, ma tutto da raggiungere. Anche il piano firmato da Pedro Sánchez con gli imprenditori e i sindacati disegna una serie di obiettivi a lunga scadenza, più che misure concrete. Tutti siamo stati presi di sorpresa da un’epidemia che ha cambiato le nostre vite e i meccanismi economici; e l’Italia non ha l’autonomia monetaria che ha consentito agli Usa e al Regno Unito di dare una risposta immediata. A Londra ad esempio l’Iva su alberghi e ristoranti è passata dal 20 al 5%; da noi la diminuzione delle imposte indirette è rimasta sulla carta. Meglio così, forse; una seria riforma fiscale dovrebbe partire dalle tasse sul lavoro; ma — anche qui — siamo agli annunci, per quanto reiterati; nel frattempo le aliquote Irpef restano le stesse.

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