Mattarella, riconciliazione a Basovizza
Ugo Magri
ROMA. Più ancora della visita al Milite Ignoto, in piena pandemia e senza dignitari, nella storia del settennato resterà quest’immagine forte di Sergio Mattarella mano nella mano con Borut Pahor, il presidente sloveno. Insieme hanno ricordato le sofferenze che i rispettivi popoli si sono inflitti a vicenda, prima e dopo l’ultima guerra.
Davanti alla Foiba di Basovizza, Pahor ha reso omaggio alle vittime italiane dei comunisti titini; poco dopo Mattarella ha sostato davanti al cippo di quattro patrioti slavi fucilati durante il Fascismo. In ossequio alla nostra Costituzione, che valorizza le diversità linguistiche, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa che restituirà alla minoranza slovena di Trieste un luogo simbolo: l’ex Hotel Balkan al numero 14 di via Filzi. Lì aveva sede il Narodni Dom, la Casa del popolo data alle fiamme dagli squadristi mussoliniani esattamente un secolo fa. L’ultimo testimone oculare ancora in vita è l’intellettuale italo-sloveno Boris Pahor, 107 anni. Scampò per miracolo ai campi di sterminio, venne perseguitato di qua e di là del confine. I due presidenti ne hanno ascoltato le parole, poi l’hanno premiato con le più alte onorificenze in un clima di solennità e commozione. Ma perché quella mano nella mano, nonostante il distanziamento sociale?
Il “sogno proibito”
C’era
un residuo di malanimo tra popolazioni confinanti che non avevano
ancora del tutto digerito il passato. Paure antiche, rivalità etniche,
faide sanguinose. Manifestare amicizia ai massimi livelli è il modo per
segnare uno spartiacque. Nessun colpo di spugna, ha voluto specificare
il presidente italiano, «le esperienze dolorose di queste terre non si
dimenticano»; ma è tempo guardare al futuro che ci accomuna e in cui i
Balcani (pallino di Mattarella) saranno tutti parte della grande
famiglia europea.
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