Lo stato di emergenza e la sindrome da trincea
di Antonio Polito |
Non si può avere nostalgia di un’epidemia, come non si può averne della guerra. Ma anche chi ha vinto una guerra, come Churchill, ha avuto nostalgia dello stato di emergenza che essa portava con sé, perché consentiva di chiedere al popolo «sangue, lacrime e sudore» e di ottenerlo senza discutere. La storia ci dimostra che questa nostalgia è perniciosa per i politici, e che a volerla prolungare oltre il dovuto si può finire per perdere le elezioni dopo aver vinto la guerra, come accadde proprio allo statista inglese nel 1945.
Ma il ritorno alla normalità è sempre un momento difficile per chi ha vissuto tempi eccezionali. Perfino de Gaulle soffrì di questa sindrome della trincea: liberata la Francia, ma deluso dal tran tran democratico del dopoguerra, si ritirò dalla politica nell’«esilio» di Colombey-les-Deux-Églises.
In tale compagnia, Giuseppe Conte può dunque essere scusato se, annunciando la proroga dello stato d’emergenza, ha dato la sensazione di trovarcisi a suo agio. I critici potrebbero notare che «emergenza» è qualcosa che emerge, un problema che si appalesa all’improvviso, ma purtroppo per noi il Covid-19 è tutt’altro che questo, nel senso che è emerso da tempo, viene da lontano e va lontano, ne conosciamo la pericolosità e abbiamo anche imparato a combatterlo molto meglio. Si potrebbe anzi dire che continuando a proporlo come un’emergenza il premier sottovaluti la capacità mostrata dal suo governo e dalle istituzioni pubbliche italiane nel fronteggiarlo e rinchiuderlo in sacche e focolai. Ciò che sta «emergendo», piuttosto, è la crisi economica e sociale; ma quella non si risolve con i Dpcm.
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