Il test rapido coreano sperimentato in Veneto (e forse anche in Lombardia)
Oltre a Treviso, altri centri stanno utilizzando il dispositivo, come Vicenza e Trento. Anche in Lombardia dovrebbe partire presto uno studio.
Professor Rigoli, il test dà risultati veritieri?
«Sì,
su un migliaio di campioni analizzati in doppio (cioè con la
controprova della biologia molecolare) abbiamo avuto solo un falso
positivo e nessun falso negativo. Però dobbiamo procedere con il lavoro
perché finora abbiamo testato solo 40 positivi, per avere dati più
consistenti dobbiamo arrivare almeno ad analizzare in doppio 100
soggetti positivi. Il punto è che di soggetti infetti, per fortuna, ce
ne sono pochi in circolazione».
Che differenza c’è tra i dispositivi per la ricerca di anticorpi e quelli che rilevano la presenza del virus?
«I
primi mostrano se c’è stata l’infezione, ma non sono in grado di
escludere l’eventuale presenza del virus. Al contrario, il test che
stiamo utilizzando in Veneto dà una risposta sulla situazione attuale
del paziente, ovvero se nel suo rinofaringe c’è il virus».
Qual è il grado di sensibilità?
«Meno
elevato rispetto agli esami effettuati in laboratorio su campioni
biologici, ma questo può essere un vantaggio: vengono infatti
identificati solo i positivi con una carica virale abbastanza elevata:
soggetti che possono ammalarsi e probabilmente contagiare altri. Gran
parte dei soggetti negativi al test rapido risulterebbero probabilmente
positivi in biologia molecolare, ma sono portatori di un virus non
replicante».
Chiunque può eseguire il test rapido, anche a domicilio?
«No,
si tratta di un tampone, quindi serve una preparazione per prelevare il
campione correttamente. Non può farlo un semplice cittadino, ma
certamente è uno strumento utile per i medici di famiglia, che possono
sapere in tempo reale se un paziente con sintomi ha l’infezione da
coronavirus in atto».
Lei ha detto di aver analizzato tamponi con una carica virale bassa: ci può spiegare questo punto?
«Negli
esami di laboratorio si effettua un’amplificazione del genoma virale
perché il germe possa essere rilevato dagli strumenti. Nei pazienti di
marzo e aprile bastavano pochissimi cicli, ognuno dei quali raddoppia la
quantità di virus, per arrivare a milioni di copie di Rna del virus. In
molti dei positivi di oggi servono invece molti interventi di
amplificazione: questo significa che nel rinofaringe è presente una
carica virale bassa. Non solo: negli esami di laboratorio usiamo tre
target, ovvero tre parti dell’Rna del virus. I positivi che vediamo
oggi, oltre ad avere una piccola quantità di germe, spesso rispondono a
uno o due dei target. Questo può significare che nel loro organismo sono
presenti solo parti del virus, non in grado di provocare malattia.
Abbiamo avuto diversi casi di operatori sanitari, a cui viene fatto il
tampone ogni 20 giorni, negativizzati e poi tornati positivi, senza
avere alcun sintomo: potrebbe trattarsi di residui della pregressa
infezione, ormai innocui».
Il test rapido è in grado di valutare la quantità di carica virale presente?
«No,
ma identifica solo i soggetti in cui è presente il virus in quantità
rilevante, quindi fa una sorta di “selezione” di quelli che valutiamo
come falsi positivi, ovvero le persone con una carica virale talmente
bassa da non poter essere ritenute contagiose. Per il momento lo stiamo
utilizzando nei pazienti che arrivano nei Pronto soccorso, per evitare
loro ore di attesa: finora era necessario aspettare i risultati degli
esami di laboratorio, che richiedono tempo. Pensiamo a un paziente grave
o a una donna che sta per partorire: poter intervenire immediatamente
fa la differenza. Inoltre si sta pensando di estenderne l’uso ad altre
realtà, come le residenze per anziani ed eventualmente le scuole,
intervenendo sul Piano di sanità pubblica regionale. Il test rapido è
una soluzione per andare nel territorio e identificare rapidamente i
positivi, anche attraverso il lavoro dei medici di famiglia. Aggiungo
che nei prossimi giorni arriveranno sul mercato altri dispositivi uguali
a quello coreano, che ha già il marchio CE. Alcuni li stiamo già
testando. La concorrenza di mercato potrà forse portare a un ulteriore
abbassamento dei prezzi».
I focolai di importazione sono preoccupanti?
«Purtroppo possono diventarlo, stiamo ricominciando a vedere alcuni pazienti ricoverati, anche se i numeri al momento sono ridotti. L’Istituto zooprofilattico di Venezia ha sequenziato il virus proveniente dalla Serbia, dopo il caso dell’imprenditore rientrato in Veneto, e si è scoperto che ha importanti diversità (mutazioni) rispetto a quello che circola in Italia. Probabilmente in quel Paese l’epidemia è in una fase diversa. Dobbiamo continuare a tipizzare i ceppi e associare ad essi le relative manifestazioni cliniche, per capire quali ceppi causano malattia grave. Purtroppo non possiamo affidarci all’immunità di gregge che per questo virus non esiste: in Italia, secondo le stime, gli immuni a Sars-CoV-2 sono solo il 2-3% della popolazione».
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