Giulia Maria Crespi, se ne va un patrimonio culturale italiano
Giulia Maria Crespi è morta all’età di 97 anni. Dopo aver rifiutato per anni di raccontarsi, decise di farlo per il suo novantaduesimo compleanno con un’autobiografia, Il mio filo rosso, pubblicata da Einaudi.
“Avete tra le mani delle memorie che non sono una tesi per dimostrare una certa tendenza, sono solo un racconto, che segue il filo dei miei ricordi e delle mie accurate verifiche. Un tentativo di avvicinarsi alla Verità, meta che nella vita ho sempre voluto perseguire. Sì, quella ricerca del Vero che mi ha apportato grane, ma anche soddisfazioni nonché alcune fedeli amicizie e, talvolta, seppur raramente, battaglie vinte”.
Crespi veniva da una delle famiglie lombardi più importanti che aveva fatto fortuna nel mercato del tessile e della seta, ha vissuto una vita piena di privilegi, ma è una delle poche ad aver dato e a dare tanto. Si è occupata a lungo di Italia Nostra e, soprattutto, del FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano da lei fondato con Renato Bazzoni nel 1975 di cui era diventata Presidente Onorario. “Il Fai continua ad essere una mia grande passione: fu Elena Croce a suggerirmi l’idea di fondare qualcosa di analogo al National Trust britannico e in poco tempo progettai insieme ad altri qualcosa che coinvolgesse tutto ciò che era bello in Italia, ma all’inizio non fu facile far passare l’idea che le cose belle si potessero anche donare”.
Centrale, nel libro, la sua esperienza al Corriere della Sera, di proprietà di famiglia: iniziò ad occuparsene negli anni Sessanta e in quelle pagine – in cui è racchiusa poi parte della storia del nostro Paese – ricorda quella mattina “ventosa e luminosa” del marzo del 1962, la sua “prima entrata” al giornale, scortata dal padre, da lei molto amato nonostante fosse “all’antica”, che l’aveva raccomandata di essere puntuale, di indossare un vestito modesto e – soprattutto – di “non parlare”. La “battagliera” Crespi, tutto fece tranne che questo: in poco tempo, riuscì ad indirizzare il Corriere “a sinistra”, licenziando Giovanni Spadolinie sostituendolo con Piero Ottone fino a far allontanare Indro Montanelli che da allora non le rivolse più la parola. Nel 1974 uscì dal C.d.A. e cedette la proprietà del Corriere ad Agnelli e a Moratti e, successivamente, liquidò la sua quota rimanente all’editore Andrea Rizzoli.
“Ho molti difetti, nella mia vita ho commesso molti sbagli, ma ho sempre cercato la verità, quella stessa che fa paura a molti in questo Paese”.
Una vita straordinaria e piena la sua, scandita da due matrimoni con due uomini che amò moltissimo: il primo marito Marco – padre dei gemelli, Aldo e Luca, morto in un incidente d’auto – e il secondo marito, Guglielmo Mozzoni, architetto d’avanguardia, intellettuale eclettico e grande amante dell’Opera, morto lo scorso anno. Anni fa, ho avuto l’onore di conoscerlo alla Scala e di guardare una Traviata seduto accanto a lui che già ci vedeva pochissimo, ma che non si staccava mai dal suo block notes e da quei fogli bianchi su cui disegnava persone ed oggetti. È suo il disegno della copertina del libro.
Per la Crespi, scalare le montagne – non solo in senso metaforico – è sempre stato “un amore nascente che diventò passione” grazie a suo padre, che le fece vivere quell’esperienza per la prima volta a Cortina.
″È inutile descrivere quello che si prova quando si arriva sulla cima di una scalata. So soltanto che quel giorno con il battesimo della roccia nacque il mio amore per la montagna, assoluto, indimenticabile, totale”.
Dalla montagna alla natura fino alla passione per l’agricoltura biodinamica (iniziata dopo la malattia) tanto che per trentacinque anni è stata alla “guida” delle “Cascine Orsine”, l’azienda agricola di famiglia nella Pianura padana. Tutto è raccontato nell’autobiografia, scritta con sincerità e con una naturale voce narrativa da una che ha vissuto parecchie vite e tirato molti fili rossi senza mai smettere di credere al domani, che ha amato e che ama il bello e le cose sane. La dedica “a tutti coloro che lavorano per un mondo migliore, spargendo semi che in futuro germineranno”. E non è certo un caso.
L’HUFFPOST
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