“Intesa storica sul Recovery Fund da 750 miliardi”. I sussidi calano a 390 miliardi, resta il “freno d’emergenza” chiesto da Rutte

La svolta è arrivata nel pomeriggio di ieri, anche se il terreno era stato preparato nella notte precedente. Al quarto giorno consecutivo di negoziati, Charles Michel (sempre ispirato da Merkel e Macron) è riuscito a trovare la chiave per mettere tutti d’accordo e al tempo stesso salvaguardare il volume totale del piano proposto dalla Commissione. Ma ha dovuto cambiare la ripartizione dei 750 miliardi del “Next Generation EU”: le sovvenzioni scendono a 390 miliardi (erano 500) e i prestiti salgono a quota 360. Un risultato frutto del pressing dei Paesi frugali che hanno insistito per portare la cifra dei “grants” sotto la soglia dei 400 miliardi, considerata un limite invalicabile per Emmanuel Macron. Alla fine il presidente francese ha dovuto cedere quei 10 miliardi che consentono ad Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca di cantare vittoria. Anche perché i quattro si portano a casa ulteriori sconti nella loro quota di versamenti al bilancio Ue. Economia in quark – Se scoppia l’Italia, scoppia l’Europa, ma la Bce non diventi un “bancomat” del governo

Ancora presto per fare un calcolo esatto delle quote che spetteranno a ogni Paese, ma il governo italiano è convinto di aver salvaguardato gli 81,4 miliardi di sovvenzioni previsti nella proposta della Commissione. Questo perché la fetta di “grants” della “Recovery and Resilience Facility”, lo strumento per finanziare le riforme negli Stati membri, rimane pressoché uguale (sale da 310 a 312,5 miliardi). E anche perché l’altro programma che vede l’Italia tra i principali beneficiari – RescEu, destinato alle regioni più colpite – scende di poco (da 50 a 47,5 miliardi). Per Roma crescerebbe nettamente la quota di prestiti a disposizione: da 91 a 127 miliardi secondo le stime.

Gli 81,4 miliardi inizieranno ad arrivare verosimilmente a partire dalla primavera 2021 e andranno spesi in fretta: entro il 2023. Dovranno servire per finanziare le riforme proposte dal governo sulla base delle raccomandazioni della Commissione. Sull’iter di approvazione dei piani nazionali, alla fine l’ha spuntata Mark Rutte, che ha incassato il cosiddetto “freno di emergenza” per poter congelare l’erogazione dei fondi verso un Paese in caso di non rispetto della tabella di marcia delle riforme. Resta al Consiglio il potere di approvare (a maggioranza qualificata) i piani nazionali. Successivamente qualsiasi governo potrà sollevare la questione e chiedere al presidente del Consiglio europeo di affrontarla. Il tema dovrà essere “discusso in maniera esaustiva” nel giro di tre mesi: nel frattempo la Commissione dovrà congelare il pagamento delle rate. Soddisfatto Rutte: “A me va benissimo”. Nella notte Giuseppe Conte ha tentato un ultimo assalto per annacquare quel passaggio, ottenendo la modifica di alcuni aggettivi che lasciano però inalterato l’impianto del meccanismo. Un solo Paese potrà tirare il freno e bloccare per tre mesi i pagamenti.

È andato più liscio del previsto il confronto con i Paesi dell’Est. Viktor Orban ha chiesto e ottenuto di ammorbidire ulteriormente i vincoli sullo Stato di diritto. Soddisfatto anche il polacco Mateusz Morawiecki: Varsavia ha incassato un passaggio-chiave sulle condizionalità ambientale: per ottenere i fondi del Recovery non sarà necessario sottoscrivere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 a livello nazionale, ma basterà l’impegno a raggiungere quel target a livello Ue. Soluzioni creative che consentono a tutti di tornare a casa cantando vittoria.

LA STAMPA

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