Carabinieri Piacenza, il procuratore: «Controllare il tenore di vita dei militari»
I funzionari dello Stato hanno già l’obbligo di denuncia.
«Però in questi casi temono le ritorsioni. Le procure militari sono piene di anonimi che poi spesso si rivelano fondati. È arrivato il momento di prevedere, almeno per un certo periodo di tempo, il whistleblowing anche per le forze dell’ordine, garantendo
loro la protezione se decidono di denunciare casi di corruzione altri
reati. Bisogna tutelare le persone che segnalano le disfunzioni
altrimenti le perdiamo».
Lei ha gestito l’inchiesta sullo stupro delle due studentesse americane a Firenze e
le violenze compiute nella stazione di Massa Carrara. E poi decine di
indagini meno eclatanti, ma ugualmente gravi. Non crede che il filo
comune sia proprio lo spirito di corpo che si traduce nel senso di
impunità?
«Di
per sè lo spirito di corpo è un valore. Se lo si abusa può diventare un
illecito strumento di impunità, poiché può indurre taluno a non
denunciare eventuali illeciti per evitare di danneggiare l’immagine del
corpo. E ciò può far nascere la convinzione di non essere “traditi”
dai colleghi finendo per costringerli ad un imbarazzante silenzio. E non
dimentichiamo che molti carabinieri provengono dalle forze armate.
Questo non sempre è positivo perché spesso non ricevono la tradizionale
formazione delle forze di polizia, nè dal punto di vista investigativo
nè da quello dell’etica di corpo».
Come si possono rendere efficaci i controlli?
«Verificando
la vita privata, chiedendo conto a chi conduce una vita al di sopra
delle proprie possibilità. Anche a livello apicale deve cambiare la
mentalità, ridimensionando il carrierismo fine a sé stesso».
Parla degli encomi legati al numero di arresti effettuati?
«Certo
anche a quello. L’arresto non vale nulla se non viene convalidato.
Cambiare questo modo di calcolare la produttività sarebbe fondamentale. Capisco che bisogna tutelare l’immagine dell’Arma, ma il risultato non si ottiene se non facciamo pulizia all’interno».
Si riferisce ai procedimenti disciplinari?
«Penso
soprattutto alla mentalità. Attualmente un comandante bravo è quello
che non ha problemi. In realtà in questo modo può accadere che li
nasconda, che non li faccia emergere. Bisognerebbe far passare il
messaggio che il vero comandante è quello che risolve il problema non
quello che non lo fa apparire ignorandolo o non denunciandolo».
Dopo il clamore delle indagini si torna rapidamente alla normalità. Non crede che questo faccia aumentare il senso di impunità?
«A
volte accade, mi sembra che molti non abbiano la percezione di
rappresentare lo Stato. Per questo ritengo necessaria una maggior
condivisione tra la magistratura ordinaria e quella militare. Una
condanna per reati come la violata consegna e l’omesso controllo sui
doveri del comandante può demolire una carriera. Da parte dei
carabinieri sarebbe necessario una maggiore riflessione su questi
profili».
Crede che i gravissimi della caserma Levante possano convincere i vertici dell’Arma a voltare davvero pagina?
«Non farlo sarebbe un errore gravissimo. Un colpo letale per l’istituzione»
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