L’Europa nel segno di Angela Merkel
Il negoziato sul piano Next Generation Eu (750 miliardi di debito comune per prestiti e sovvenzioni ai Paesi più colpiti da erogare in 3 anni) si è invece chiuso all’insegna della solidarietà pan-europea, e persino con un atto di altruismo: la Germania ha rinunciato a quello sconto sui contributi al bilancio Ue che è stato invece preteso dai Paesi frugali, Olanda in testa. Angela ha riparato l’«asse portante» rotto un decennio fa e ha inaugurato un nuovo ruolo per la Germania, quello di Paese egemone ma responsabile, attento all’interesse collettivo. Alcuni continueranno sicuramente a storcere il naso: in Europa non siamo forse tutti uguali? Formalmente sì, ma di fatto non possiamo avere tutti lo stesso peso decisionale. La Germania ha dimensioni economiche e demografiche che la rendono oggettivamente più eguale degli altri. E una Germania che sappia agire considerando l’interesse europeo è molto meglio di una Europa germanizzata. In una dichiarazione che sarà probabilmente ricordata nei libri di storia, il 23 aprile scorso, poche ore prima di un Consiglio europeo in video-conferenza, Merkel ha detto ai membri del Bundestag che «l’impegno verso l’Europa unita fa parte della ragion di stato tedesca… Per noi l’Europa è una comunità di destino». E ha aggiunto: non è una di quelle frasi a effetto che si leggono nei supplementi domenicali dei quotidiani. Si tratta di «qualcosa di molto pratico», incluso il versamento di contributi più elevati al bilancio comune.
Diversi fattori hanno consentito ad Angela Merkel di agire da statista. Nel febbraio scorso, alla vigilia della pandemia, la Cancelliera aveva ufficialmente annunciato che non si sarebbe ricandidata alle prossime elezioni. Almeno in parte, ciò l’ha affrancata da una della regole più «spiacevoli» della democrazia: se chiedi sacrifici presenti per benefici futuri, gli elettori ti voltano le spalle. Grazie alla efficace gestione dell’emergenza sanitaria, il gradimento della Cancelliera è invece salito al valore record del 70 per cento e non è diminuito quando si è cominciato a parlare di solidarietà verso «gli amici italiani e spagnoli» e si è infranto persino il tabù degli euro-bond. Dai primi di marzo Angela aveva già più volte ripetuto in pubblico che il benessere della Germania è indissolubilmente legato al mercato interno e dunque alla prosperità dell’Unione «in ogni sua parte e Paese».
In questo modo Merkel ha creato le condizioni più propizie per l’esercizio di una doppia leadership: interna ed europea. Una mossa difficile e coraggiosa in un sistema politico multi-cefalo, «a tante teste», come la Ue ove i leader sono incentivati a difendere strenuamente gli interessi dei propri elettori. Come si è visto, il negoziato appena concluso non ha fatto eccezione, anzi alcuni leader hanno giocato partite spudoratamente aggressive. Certo, anche la Francia ha svolto un ruolo importante. Ma senza il peso di Angela, Macron non avrebbe fatto molta strada: non possiede sufficiente legittimità interna per poterne investire un po’ sull’Europa. E cosi è stata la Cancelliera a fare l’investimento e a trasformare una imminente tempesta perfetta nel suo esatto contrario: l’arrivo in porto di una trattativa che rischiava di fallire creando spaccature devastanti per l’integrità e il funzionamento dell’Unione.
Ai posteri l’ardua sentenza. Ma se manteniamo uno sguardo lungo, a Angela Merkel un po’ di gloria possiamo già concederla. Come riconoscimento alla prima leader donna della Germania e della Ue e statista in pectore, sulla scia di una storia centenaria in cui i conflitti fra gli Stati europei hanno sistematicamente prevalso sulle reciproche condivisioni.
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