Le scelte di governo che ancora mancano
Pesa altrettanto la sindrome dell’accerchiamento che Conte comincia ad avvertire, sebbene finora sia stato abile a trarne vantaggio. La sfida si gioca sulla capacità di esercitare un equilibrio tra il controllo politico degli aiuti e la delega per la loro utilizzazione a chi ha le migliori competenze tecniche. L’idea che sta affiorando è di coordinare il lavoro di Palazzo Chigi con tutti i ministeri, e di coinvolgere Regioni, Comuni e Province. Che cosa voglia dire in concreto, tuttavia, non è chiaro: salvo il fatto che prenderà molto tempo, e che le richieste degli enti locali rischiano di replicare il dualismo col governo centrale già emerso durante la fase acuta dell’emergenza del coronavirus.
È un tema potenzialmente esplosivo perché negli ultimi giorni incrocia il malessere crescente dei centri di accoglienza dai quali fuggono troppo facilmente decine di migranti in quarantena. Nell’agenda di Conte, la questione non c’è; ma sta diventando cruciale. L’aveva sollevata qualche settimana fa il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Ieri l’ha rilanciata il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, grillino. Il suo attacco allarmato sembra un monito al Viminale e allo stesso Conte; e un invito indiretto a non perdere di vista i problemi concreti sui quali si gioca la credibilità del governo.
Maliziosamente,si può pensare anche all’ennesima stilettata dell’ex leader del M5S a un premier che gli toglie visibilità e potere. È possibile: sebbene incomba la Lega di Matteo Salvini che sull’immigrazione ha costruito le sue fortune elettorali, e potrebbe accumularne ancora. Ma l’uscita di Di Maio finisce per essere qualcosa di più. Serve a ricordare a Palazzo Chigi che la realtà corre più forte di qualunque manovra dilatoria: o la intercetta, la analizza e la guida, o ne sarà travolto. Oggi più che mai la tenuta sociale e la ripresa economica dell’Italia dipendono da quanto dimostrerà di saper fare un governo al quale è vietato il narcisismo della popolarità.
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