Coronavirus, la corsa mondiale al vaccino: a che punto sono i 4 finalisti
Uno studio pubblicato sul «New England
Journal of Medicine» mostra che il vaccino di Moderna funziona nei
macachi: che cosa significa?
Nei test ha indotto una buona
risposta immunitaria sia di anticorpi neutralizzanti che di linfociti T,
ha prevenuto l’infezione e quindi evitato la malattia. Il progetto è
portato avanti dall’azienda Moderna insieme all’Istituto nazionale per
le malattie infettive diretto da Anthony Fauci. Per la fase 3 vengono
arruolati 30mila volontari negli Stati Uniti.
Quali sono le differenze tra i vaccini più avanzati?
Il
vaccino di Moderna, come quello di BioNTech/Pfizer, si basa su RNA che
contiene il gene della proteina spike del virus. L’Università di Oxford
invece punta su vettori virali non replicanti derivati da un adenovirus
di scimpanzè. È lo stesso procedimento scelto dall’azienda cinese
CanSino e dall’Istituto Gamaleya di Mosca, che utilizzano però
adenovirus umani. Dai dati pubblicati sugli studi preclinici negli
animali si è osservato che il vaccino di Moderna è in grado di prevenire
l’infezione nei macachi, mentre quello di Oxford non previene
l’infezione, ma solo la malattia che ne consegue.
Come si dimostra l’efficacia di un vaccino?
In
fase 3, viene somministrato a decine di migliaia di persone a rischio
di infezione, che sono poi messe a confronto con un gruppo di non
vaccinati formato dello stesso numero di soggetti. Tra i volontari
immunizzati deve esserci un numero inferiore di contagi rispetto al team
di controllo. Non solo: il risultato dei test deve essere
statisticamente significativo, secondo criteri standard condivisi da
tutta la comunità scientifica. Moderna sta arruolando persone negli
Stati Uniti, dove l’epidemia corre forte, mentre l’Università di Oxford
ha selezionato volontari, oltre che in Inghilterra, anche in Brasile e
Sudafrica. Nel caso non si ottengano dati sufficienti con questa
procedura, alcuni propongono di percorrere un’altra strada, ovvero
trovare volontari disposti a vaccinarsi e poi farsi infettare con il
virus. Questo approccio pone però importanti problemi etici legati
all’assenza di un farmaco efficace contro Sars-Cov-2.
C’è chi teme che un vaccino approvato in tempi rapidi per l’emergenza possa essere poco sicuro: è vero?
No,
gli Enti regolatori occidentali (come l’Agenzia italiana del farmaco)
danno il via libera a un nuovo vaccino solo in presenza di prove certe
della sua efficacia e sicurezza, come è avvenuto con tutti quelli che
conosciamo e utilizziamo oggi. Quindi se uno (o più) tra i candidati
anti Sars-CoV-2 arriverà sul mercato, si tratterà di un prodotto in
grado di fermare il virus, o almeno la sua manifestazione clinica nelle
forme più gravi, e che non provoca effetti collaterali di rilievo nelle
persone.
(Ha collaborato Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi»)
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