Aridatece Minniti
Si dirà: buon senso, lungimiranza, materia per una discussione costruttiva. E invece l’ex ministro dell’Interno, che da ministro dell’Interno aveva un coro piuttosto unanime di estimatori, è stato oggetto del più classico degli oltraggi (codardi direbbe il poeta), anche da parte di chi era avvezzo a (servi) encomi. Maria Elena Boschi, nella sua new wave da celebrity, ha esposto la teoria che il virus viaggia in prima classe e non sui barconi per poi lanciarsi in un invettiva sulla similitudine tra Salvini e Minniti. Peccato che di quel governo era sottosegretario alla presidenza e, in quel ruolo, non si registra un solo atto di dissenso, anzi si registrano pubbliche lodi fino a quando Renzi propose proprio a Minniti di fare il segretario. Declinata l’offerta, è partito il linciaggio. In verità non si registrano toni aspri come in questi giorni neanche da Matteo Orfini, che sull’immigrazione ha sempre avuto un’altra linea, ma che, da presidente del partito durante il Governo Gentiloni, mai ha azzardato come oggi il paragone tra l’allora ministro dell’Interno e Salvini.
E allora, andiamo al punto. Dietro questa storia del “rinnegato Minniti” c’è una grande abdicazione della politica al suo ruolo, che va oltre i singoli aspetti del problema che andrebbe invece affrontato con una buona dose di realismo. A partire dal dossier libico perché dire che la guardia costiera non merita di essere finanziata in quanto alimenta il traffico di esseri umani è solo un aspetto della storia. L’altro pezzo degli accordi di allora è che il Viminale aveva previsto un piano articolato in fasi successive che prevedevano, ad esempio, l’intervento delle Nazioni Unite in Libia per svuotare i campi e per spostare tutti i migranti sotto la protezione internazionale. Prevedeva, per dirne un’altra, che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati cominciasse in Libia il lavoro per capire quanti fra gli immigrati avessero diritto allo status di rifugiato e aprisse per loro un corridoio umanitario verso l’Europa quindi saltando il passaggio del traffico di persone sui barconi, in mano alla criminalità e a rischio naufragio. Quel che è successo è noto: è saltata la Libia e in Italia sono cambiati i governi.
Insomma, il paragone tra Salvini e Minniti non è da querela. È, semplicemente, da schiaffi. La questione di fondo, però, dicevamo è l’abdicazione della politica proprio ora che il problema non è eludibile e il governo è in evidente affanno. Quella di Minniti è una linea, quella di Orfini è un’altra linea, il problema è che il Pd non ha linea in materia. Perché ha scelto di non averla sin dalla nomina di un tecnico, sia pur competente, al Viminale: l’idea cioè di spoliticizzare il terreno dello scontro con Salvini, defilandosi sulla questione cruciale. Un po’ come durante le Europee quando – anche allora diviso tra Minniti e Ong – provò a parlare d’altro nel tentativo di cambiare l’agenda, tranne poi constatare che la realtà non si rimuove. Torna, più prepotente. E più infetta.
L’HUFFPOST
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