Intervista a Gianni Cuperlo: “Le Commissioni? Il Tempio si è riempito di mercanti”
Come vede, le domande me le pongo e provo anche a rispondere.
Veramente fin qui la sua è una denuncia fatta da chi non può dire di essere sbarcato ieri da Marte, il punto, questa volta insisto io, è la linea del Pd, o no?
Ho votato Zingaretti perché mi convincevano due premesse. Costruire nei fatti quel “Campo Aperto”, lui lo ha chiamato “Piazza Grande”, dopo gli anni dell’autosufficienza e della disintermediazione renziane, e ripensare il Pd e un nuovo centrosinistra dopo un decennio che ha visto i due segretari più longevi dare vita a altrettante scissioni. La proposta avanzata prima della pandemia per un congresso sulla politica, molti di noi l’avevano intesa come il sentiero giusto per dare gambe a quel tentativo.
Poi però ci si è messo il Covid e adesso siete alle prese coi mal di pancia di una maggioranza che è divisa praticamente su tutto. Parliamoci chiaro, anche la vicenda delle commissioni racconta questo: non si riesce a fare neanche un accordo sulla presidenza della commissione Giustizia…
È chiaro che la pandemia ha cambiato tutto, ma la tragedia casomai esalta problemi che c’erano anche prima.
Ad esempio?
A parte le cose che contano davvero, da come riapriamo le scuole al sostegno per chi ha perso il lavoro, alle nuove disuguaglianze che segnano milioni di famiglie, per stare al nostro cortile mi chiedo fino a che punto il segretario è rappresentato nella cabina di regia dei gruppi parlamentari e lo dico perché è un problema che si lega all’azione di governo.
In che modo?
Penso all’editoriale di Saviano alcune settimane fa e alla durezza della polemica con Zingaretti.
Scusi, si può essere d’accordo o meno, ma Saviano ha criticato pesantemente una incoerenza palese tra il voto sulla Libia della vostra Assemblea nazionale e il comportamento tenuto in Parlamento.
Esatto, e personalmente credo che il voto sul rinnovo degli accordi con la Guardia Costiera libica sia stato un errore grave, ma il tema rimane perché Zingaretti oggi non è al governo allora tanto più se dal governo non si levano voci a difesa della linea adottata è evidente che qualcosa non funziona.
Nella vecchia logica del “sopire troncare, troncare sopire”?
Precisamente.
D’accordo, ma lei che farebbe?
Di fronte a questa realtà comincio a pensare che avere favorito sempre l’unità, per altro quella solamente formale, abbia fatto chiudere gli occhi dinanzi a processi regressivi che oggi finiscono col limitare anche una crescita del nostro consenso.
Processi regressivi, dice. A questo punto sarò io più esplicito: se le cose stanno come dice lei, mi spiega che ci sta a fare ancora nel Pd?
Gliel’ho detto, vedo questi limiti ma so che l’idea che stava alla base del Partito Democratico e della sinistra è più forte anche delle sue classi dirigenti. Per questo dico che il Pd è pure altro. Sono sindaci di frontiera, circoli, militanti, studiosi. Dopo decine di assemblee sulle piattaforme ho ripreso a girare e quello che incontro è un partito di persone perbene e con qualche iniezione giovane che ci dovrebbe incoraggiare. Il rischio vero è che una generazione entrante non conosca altro che questo modello di partito e di selezione della sua classe dirigente a ogni livello. Anche per questo, con altri, ho fatto il tentativo di rompere lo schema e pubblicato quel testo – lunghissimo, lo so – che voi dell’Huffington avete recensito con benevolenza.
Ne abbiamo apprezzato lo spirito, andare oltre la filosofia del tweet.
E io la ringrazio, vede quel documento è frutto di molte iniziative promosse in questi mesi e dopo la tre giorni del novembre scorso a Bologna.
Da novembre è trascorsa un’epoca. Il tratto di continuità è che il governo non aveva una visione allora e non ce l’ha oggi: non la trovata davanti al pericolo della destra, non l’ha trovata di fronte all’emergenza più drammatica della nostra storia. Non si può, semplicemente ammettere che non funziona?
Se guardiamo all’esito del Consiglio Europeo direi che non è così e che questo governo ha messo in sicurezza l’Italia dopo la crisi peggiore di sempre. Vede, a Bologna c’era stata proprio la ricerca di ricostruire un legame con l’esterno, nel metodo e nella sostanza. La fatica era ricongiungere il partito al tanto di serio e buono fuori da noi, nel lavoro, nella cultura, nell’impresa e nel Terzo Settore. Ma c’è stato anche chi il giorno dopo ha chiesto che quel metodo e quella sostanza fossero archiviati, perché la difesa dello status quo mal si concilia con l’allargarsi veramente. Io però credo giusto insistere e quel documento lo presenteremo ovunque sarà possibile, dove associazioni e circoli ce lo chiederanno a cominciare da Milano a fine settembre.
Non mi ha risposto però sul disastroso quadro di alleanze alle regionali.
Coi 5 Stelle siamo alleati solo in Liguria e con Italia Viva solo in Toscana e Campania, effettivamente non la definirei una falange. Poi è chiaro che noi faremo la battaglia anche per gli altri e, come in Emilia, cercheremo in ogni modo di non consegnare quelle realtà alla destra. Su questo mi lasci coltivare l’ottimismo della volontà. Poi però c’è un punto che mi preme di più.
E sarebbe?
Sarebbe dove collochiamo il perno ultimo di una offerta di governo che catturi consenso e sentimenti della società democratica e progressista. Credo sia un tema accantonato troppe volte e che invece pesa nel rapporto col paese perché ha a che vedere con l’idea del governo, ma soprattutto con la sua concezione, se lo si considera un mezzo o se diviene un fine in sé.
Antica quaestio, al fondo nella Prima Repubblica la Dc ha vissuto l’esperienza del centrismo e poi il primo storico centrosinistra, due stagioni in tutto. I comunisti avevano chiaro il fattore K e solo col compromesso storico riaprirono una prospettiva di governo.
Esatto, invece noi in questo ventennio per ragioni anche di necessità abbiamo conosciuto contesti e situazioni talvolta persino opposti. L’Ulivo, incarnazione del centrosinistra. Le larghe intese con Forza Italia. Il sostegno al governo tecnico di Mario Monti. L’antagonismo coi 5Stelle sul tema della democrazia salvo dare vita a un governo con loro. Lo stesso rapporto con Berlusconi è oscillato dall’opposizione intransigente al dialogo sulle riforme alla battaglia per farlo decadere dal Senato.
Mi sta dicendo che alla fine l’impressione è stata quella di una sinistra che ha concepito il governo come fine ultimo?
A volte è accaduto. Capiamoci, l’Ulivo fu una intuizione straordinaria, altre scelte lo sono state molto meno. Ma al fondo a restare trascurata è stata una domanda decisiva che era “ok, al governo. Ma perché? Con chi? Per quale idea di convivenza, economia, solidarietà?”. Il punto è che per dare una risposta credibile l’unica via è un’alleanza con quella parte che in anni complicati ha continuato a organizzarsi, a pensare, a cercare soluzioni e a sperimentarle negli spazi del pubblico. Parlo di movimenti, associazioni, soggetti della cittadinanza attiva, e penso anche a chi scopre nei conflitti di ora la ragione del farsi sindacato. Se costruiamo questo sistema di alleanze calato nelle pieghe dei conflitti aperti dopo il Covid e colmiamo il fossato tra la politica nelle istituzioni e un civismo che è esso stesso politica, allora siamo in grado di offrire al paese una chance oggi fondamentale.
Quindi cosa chiede concretamente a Zingaretti?
Gli chiedo di avere fiducia nella volontà di rompere l’impianto di partito, il modo d’essere e di funzionare che ha dominato finora perché possiamo tornare a pensare e fare diversamente.
Ma almeno un consiglio al suo segretario non lo vuole dare?
A Nicola dico che se tutto rimane com’è sappia che alla prima difficoltà sentirà bussare alla porta e dietro troverà alcuni di quelli che oggi applaudono rivendicare l’esatto opposto. Il trasformismo è un fenomeno interessante anche perché si presta con una relativa disinvoltura all’andirivieni. Saperlo aiuta almeno a prevenirlo.
L’HUFFPOST
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