Cambiamo così la nostra scuola
di Francesco Giavazzi
Nei progetti che l’Italia invierà a Bruxelles con la richiesta dei finanziamenti del Recovery Fund, vi sarà, mi auguro, un capitolo riguardante la scuola. Questo governo ha finora sottovalutato i problemi della scuola. Le ha lasciate chiuse per sei mesi, un periodo più lungo di qualsiasi altro Paese al mondo; ora pensa di aprirle il 15 settembre, per poi richiuderle dopo pochi giorni così da poter usare alcune aule come seggi elettorali. Invece, senza fermare la scuola, si potrebbero collocare i seggi nei Comuni o in qualche altro ufficio pubblico. Infine la ministra Azzolina si è applicata a lungo a studiare il colore dei nuovi banchi, con rotelline. Una così palese noncuranza e disprezzo per un aspetto fondamentale della vita civile lascia sconcertati.
La scuola, tutte le scuole, dalle primarie alle superiori, è essenziale per ridurre le diseguaglianze, soprattutto quelle che derivano da un diverso background familiare o culturale. È sempre stato così, ma oggi i modelli di crescita nel mondo tendono ad accentuare le diseguaglianze ed è quindi ancor più necessario cercare di ridurle. La nostra scuola in questo è gravemente carente. Spiegano le ragazze e i ragazzi di Tortuga in Ci pensiamo noi: 10 proposte per far spazio ai giovani che due sono i fallimenti della scuola che si riflettono sulla diseguaglianza. Primo gli abbandoni: nel 2018 il 14,5% di chi si era iscritto ha lasciato, senza concluderla, la scuola secondaria. Di questi giovani molti entrano in un limbo: non studiano, e non lavorano. In questa situazione si trovano oggi circa due milioni di ragazzi (dati Istat) che, abbandonata la scuola, scivolano ai margini del mercato del lavoro. Il nostro sistema di welfare, pensato per chi un lavoro lo possiede o lo ha perduto, non può nulla per aiutarli.
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