Morto Sergio Zavoli, maestro della televisione: aveva 96 anni
Sergio Zavoli, giornalista e maestro della televisione italiana, è morto all’età di 96 anni. Nato a Ravenna il 21 settembre 1923, ha trasformato l’informazione in tv con programmi come il Processo alla tappa — creato nel 1962 e dedicato al Giro d’Italia — e La notte della Repubblica.
Soprattutto la sua voce calda era inconfondibile: restava impressa, metteva l’ascoltatore a suo agio, lo invogliava a seguire la trasmissione. Ma le doti di Sergio Zavoli, andavano ben oltre: competenza, serietà, cultura vera, empatia e partecipazione emotiva (mai però troppo enfatizzate), tatto nel rivolgere agli interlocutori anche le domande più scottanti.
Un cronista di razza, un maestro della comunicazione radiofonica e televisiva, capace di inventare nuove formule e pronto a portare nelle case degli italiani argomenti delicati e difficili da trattare oltre che presidente della Rai per sei anni, dal 1980 al 1986, Zavoli ne era stato per tanto tempo in precedenza e ne fu ancora in seguito un volto giornalistico tra i più prestigiosi e riconoscibili, un’autentica figura di riferimento per il pubblico, senza poi contare il suo ruolo istituzionale come presidente della commissione di Vigilanza, carica ricoperta in età già avanzata, dal 2009 al 2013.
Nato a Ravenna il 21 settembre
1923, il giovane Sergio era però cresciuto a Rimini, città cui era
rimasto molto legato e di cui aveva raccontato gli aspetti estrosi e
stralunati nel libro di memorie Il ragazzo che io fui (Mondadori, 2011).
Tra i suoi amici più cari c’era Federico Fellini, di tre anni più
anziano, al quale sarebbe rimasto sempre legato. E proprio nella
località balneare romagnola Zavoli aveva svolto il proprio apprendistato
di cronista con il «giornale parlato», una sorta di notiziario
trasmesso al megafono allestito con un paio di amici subito dopo la
guerra.
Poi era passato a seguire gli eventi sportivi e nel 1948,
quando era ancora studente universitario, Vittorio Veltroni (padre di
Walter), dirigente della Rai, lo aveva chiamato a Roma. Qui ben presto
era emerso il talento cristallino del giovane romagnolo. In radiocronaca
aveva seguito importanti gare del calcio e del ciclismo, ma anche la
disastrosa alluvione del Polesine nel 1951. Seguirono inchieste di
altissima qualità sui ciechi, sulle monache di clausura, sui profughi
fuggiti dall’Ungheria in seguito all’invasione sovietica del 1956.
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