Coronavirus, il focolaio nei campi del Mantovano. «Difficile tracciare ogni bracciante»
di Fabrizio Guglielmini, inviato a Rodigo
Nel centro di Rodigo, 5 mila anime nell’alto Mantovano, c’è un monumento al melone che svetta in una rotatoria. Sole battente, pianura assoluta e centinaia di indiani sikh, senegalesi e anche italiani che lavorano alla raccolta e spedizione di meloni e angurie, produzioni fondamentali per l’economia del territorio. Qui, nella cooperativa agricola di Bruno Francescon (250 dipendenti, fornitori della grande distribuzione in tutta Italia) è scoppiato il nuovo focolaio da Covid-19 in Lombardia, comunicato nella giornata di martedì dall’assessore al Welfare Giulio Gallera. Il mese scorso, sempre in provincia di Mantova (a Viadana e Dosolo; un salumificio e due macelli) i cluster sono scoppiati fra gli operai addetti alla lavorazione della carne.
I tamponi
Si è arrivati all’azienda di Rodigo dopo che un dipendente ha segnalato al medico di famiglia una sintomatologia febbrile. Risultato del tampone: positivo. Da qui sono scattati i controlli con l’arrivo alla «Francescon» dei sanitari delle unità speciali di Mantova, Suzzara e Viadana e dell’Ats Val Padana che fino alla serata di ieri hanno sottoposto a tampone 220 persone. In tutto 97 i soggetti positivi in quarantena, di cui un paziente ricoverato in ospedale e altri tre con sintomi lievi (ma mancano all’appello 48 tamponi da analizzare) mentre è partito il tracciamento per individuare la rete di contatti dei dipendenti. «I cittadini indiani e senegalesi spesso abitano in case sovraffollate e non è sempre facile individuare i nuclei stabili — spiega il direttrice sanitaria Silvana Cirincione dell’Ats Val Padana — ma è prioritario sottoporre a tampone anche i lavoratori nei campi, altre 200 persone, con contratto stagionale alla Francescon».
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