Imbarazzi e domande lecite

L’idea — confortata da alcune valutazioni, successivamente modificate, del Comitato tecnico scientifico — che si sarebbe potuto essere rigorosi con il Nord e concedere al Mezzogiorno di prenderla, per così dire, alla svedese, ci sembra figlia del senno del poi. Al Sud le cose sono andate meglio del previsto anche perché i presidenti di Regione e molti sindaci hanno avuto una reazione energica agli allarmi iniziali. Diciamo poi che limitare il lockdown alla Lombardia sarebbe stata con ogni probabilità una perdita di tempo, come si era rivelata la pur salutare istituzione delle zone rosse nel lodigiano e aree limitrofe. Tra l’altro nei giorni in cui venne adottato il provvedimento che ha messo sotto sequestro l’intero Paese, il virus era già presente in Veneto e stava dilagando in Emilia, Piemonte, nelle Marche. Si sarebbe dovuto separare, allora, dal resto dell’Italia non già la sola Lombardia ma l’intera area settentrionale. A parte però il fatto che alcuni canali di comunicazione per attività e rifornimenti irrinunciabili sono rimasti aperti perfino ai tempi della clausura, a limitare le trasmigrazioni dal Nord «malato» verso il Sud «sano» non sarebbe bastata neppure la costruzione di una linea gotica sul modello della barriera tedesca del feldmaresciallo Kesserling che divise l’Italia settentrionale da quella centromeridionale tra l’agosto e il dicembre del ’44.

Ci sono alcuni punti ancora non del tutto chiariti. Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico lancia l’allarme rosso su Alzano, Nembro, praticamente tutto il bergamasco. Il presidente del Consiglio dice di aver visto quella comunicazione quarantotto ore dopo che era stata messa su carta. E di aver preso poi qualche altra ora per ulteriori valutazioni. Concediamo che sia tutto vero e che non sia stato omesso nessun dettaglio capace di farci comprendere cosa ha reso possibile questa perdita di tempo così prolungata. È lecito domandarci come possa accadere che in un’emergenza del genere, trascorrano quarantotto ore prima che un’informazione di importanza primaria, vitale, giunga all’attenzione dell’uomo che è alla guida del Paese? Come è potuto succedere che nessuno tra i molti esperti del Cts abbia trovato il tempo per telefonare a un ministro, un viceministro, un sottosegretario, un parlamentare di maggioranza per dirgli di mettersi in contatto con il capo del governo e segnalargli che la situazione — in quel di Alzano e Nembro — stava precipitando (anzi, era già precipitata). Persino il ministro Speranza dice di aver letto l’informativa del Cts il giorno successivo a quello in cui gli fu inviata. Tardi, anche qui (a dimostrazione che la linea di trasmissione tra governo e scienziati non è tra le migliori). In ogni caso il «giorno dopo» di Speranza era pur sempre un «giorno prima» di quando l’informazione sarebbe giunta a Conte. Non poteva il ministro attirare l’attenzione di Palazzo Chigi su quella allarmante valutazione con ventiquattr’ore di anticipo?

Tra l’altro qualcuno deve essersi reso conto che la situazione ad Alzano e Nembro stava precipitando se, a partire dal 5 marzo (il giorno in cui Conte si accorse della comunicazione del Cts) il III Reggimento «Lombardia» dell’Arma dei Carabinieri, più alcuni poliziotti, finanzieri, soldati (centinaia di persone in divisa) furono inviati nel bergamasco per disporre il blocco dell’intera area. Poi, come è noto, dopo essere stati qualche giorno in albergo, soldati, carabinieri, poliziotti e finanzieri, furono richiamati indietro. Sarebbe interessante sapere chi, politici e militari, diramò l’ordine di andare e se sono gli stessi che, dopo averli fatti restare lì per giorni a non far nulla, li fecero poi tornare in caserma. Sarebbe poi utile conoscere, dalle loro voci, la ratio del primo e del secondo ordine.

Un’osservazione infine sull’operato della magistratura. Legittimo, probabilmente doveroso, che siano state aperte indagini su casi così dolorosi, nonostante queste inchieste fossero ad ogni evidenza destinate a mettere in imbarazzo dapprima i vertici della Regione Lombardia e, successivamente, quelli del governo centrale. Né ci sentiamo di aggiungere alcunché sulla opportunità di iniziare queste investigazioni mentre la guerra mondiale contro il virus è ancora in corso. Ma, trasferendoci sul piano dello scontro tra partiti, strappa un sorriso — dopo circa trent’anni in cui la scena si ripete sempre uguale a sé stessa — strappa un sorriso, dicevamo, che le inchieste siano annunciate dal rullio mediatico delle opposte tifoserie. Per ciò che concerne i media non abbiamo nulla da dire. Ma per ciò che riguarda la politica, ci parrebbe più saggio lasciar compiere agli inquirenti il loro dovere e attendere la fine dell’epidemia (magari anche di indagini ed eventuali processi) prima di accingersi ai regolamenti dei conti. Verrebbe da aggiungere che, se serve a distrarre da questo genere di pratica, anche un dibattito su politici a caccia di bonus o sull’obbligatorietà di un vaccino che non c’è, può essere utile a rendere il nostro un Paese migliore. Può, ma non ne siamo sicuri.

CORRIERE.IT

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