Non possiamo privare i ragazzi della socialità

di RAFFAELE MARMO

Le scuole devono aprire con il massimo della sicurezza possibile nelle condizioni date. Ma devono aprire. Il rischio di una generazione di “hikikomori” da Coronavirus è troppo elevato per non tentare e riuscire nell’intento di vedere il prossimo 14 settembre i ragazzi che rientrano nelle aule dai portoni aperti delle migliaia di edifici della Penisola. I ritardi, le inefficienze del sistema, le palesi contraddizioni del ministro Azzolina, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non possono e non devono diventare alibi o pretesti per tenere il freno a mano tirato da parte di chi deve essere in prima linea per garantire la riapertura.

Ai docenti, agli impiegati e ai dirigenti scolastici tocca, più che a chiunque altro, la responsabilità del destino dei bambini e degli adolescenti. Non ci sono smart working o didattica a distanza che tengano: la scuola dell’infanzia e quella superiore fino a 18 anni non possono essere messe sullo stesso piano di altri settori della Pubblica amministrazione. Non è la stessa cosa lavorare in remoto per un ministeriale o per un docente. Non lo è non tanto o non solo perché l’insegnamento ha ben altra efficacia se realizzato in presenza: il che non è secondario rispetto alla qualità della formazione di una generazione che dovrà fare i conti, proprio per l’impatto del Coronavirus sull’economia mondiale, con ostacoli inediti nel mercato del lavoro.

Ma in gioco non è solo l’education (anche ai fini professionali). Il punto centrale è che la scuola è il più potente luogo “fisico” di socialità e di crescita umana, di confronto e di relazione, e, perché no?, anche di impegno civile e politico, ai differenti livelli, per i giovani delle diverse età. Privarli a lungo di questi alimenti, di queste esperienze e di questa palestra non può essere considerato senza conseguenze radicali rispetto alla loro maturazione. È anche comprensibile che i leader sindacati possano fare i conti con il sentiment incerto e timoroso di una base inquieta e stordita, e che, di conseguenza, possano manifestare perplessità sulla ripresa delle attività scolastiche, ma non è un buon esempio.

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