Taglio dei parlamentari, i partiti divisi nella trappola del referendum
di RAFFAELE MARMO
Il taglio del numero dei parlamentari è ormai rimasto figlio unico e anche un po’ derelitto e orfano del grillismo anti-casta dei tempi d’oro, provvidenzialmente finiti, del «vaffa!». E, anzi, anche nel Movimento appare sempre più come la bandiera ingiallita di Luigi Di Maio e pochi altri. Eppure, il referendum di settembre rischia di trasformarsi ugualmente in una trappola micidiale per gli altri partiti e gli altri leader, da Nicola Zingaretti e Matteo Salvini. Tant’è che entrambi, se non vogliono rimanere con le mani nella morsa e se non hanno il coraggio di sostenere il No al taglio, farebbero bene quantomeno a lasciare elettori e simpatizzanti liberi di votare come meglio credono, senza indicazioni di partito, come si diceva una volta.
Diciamo le cose come stanno: la maldestra sforbiciata grillina alla composizione delle Camere non ha niente a che vedere con una riforma che sia minimamente degna di questo titolo. È un colpo di scure fatto calare a casaccio, più che sul numero dei parlamentari, sulla rappresentanza in quanto tale e, dunque, sulla stessa democrazia rappresentativa nel suo rapporto con territori e comunità. Solo che, purtroppo, per mere e superficiali ragioni di alleanza contingente di governo e senza alcun ragionamento sul merito e sugli effetti dell’intervento, oltre che sul prezzo dell’operazione, prima il capo della Lega e poi il segretario del Pd hanno accettato di pagare pegno al diktat grillino, approvando il taglio in Parlamento. Magari con la recondita riserva che non sarebbe mai scattato.
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