Referendum 20 settembre, di cosa parliamo quando parliamo di correttivi
«Il taglio dei parlamentari da solo non basta», si sente ripetere da quanti — nel Pd, ma non solo — stanno avanzando dubbi sul referendum dopo aver votato la riforma in Parlamento. «Mancano i correttivi»: è questo lo scoglio. La sforbiciata del numero dei seggi entrerebbe in vigore senza che siano state approvate in Parlamento le altre riforme pensate per compensarne gli effetti. Riforme che, causa anche lo stallo parlamentare dovuto a Covid, sono ancora al palo, ma che ora tornano alla ribalta della scena politica con i dem che chiedono a gran voce un intervento della maggioranza. Nicola Zingaretti ha sottolineato come sia necessario che la riforma «coincida anche con una difesa delle istituzioni democratiche» e ha richiesto quelle «modifiche regolamentari» concordate a suo tempo con il M5S. Luigi Di Maio solo qualche giorno fa aveva garantito: «È solo l’inizio di un percorso».
Ma quali sono?
La legge elettorale
Quella di cui si è più discusso è la legge elettorale. In particolare, l’accordo tra tutti i partiti della maggioranza — siglato all’inizio del 2020 — aveva dato il via libera a un proporzionale con sbarramento al 5%, il «Germanicum», depositato in Parlamento dal 5 Stelle Giuseppe Brescia. Questo sistema di voto, a detta dei promotori, avrebbe ridato equilibrio al peso territoriale di alcune regioni che sarebbero state svantaggiate dal taglio dei parlamentari, soprattutto dei senatori. Sono diverse le regioni che contano pochi seggi a Palazzo Madama con il taglio: il Molise ne avrà 2, Basilicata e Umbria 3, Abruzzo 4 (un eletto ogni 327 mila abitanti). E la situazione è resa ancora più complicata tra la divisione, nell’attuale legge elettorale, tra collegi uninominali e proporzionali (l’Umbria, ad esempio, eleggerebbe solo un senatore in un collegio uninominale e due nella parte proporzionale: così due partiti prenderebbero tutto). Un sistema proporzionale potrebbe «correggere» questo aspetto.
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