Inutile chiudere gli occhi sul problema dei migranti

Qui, solo tra luglio e metà agosto gli sbarchi sono stati diecimila, quadruplicati rispetto al 2019 dalla crisi tunisina. Numeri bassi, è vero. Ma, ancora una volta, il Covid-19 ci mette lo zampino: quando quei numeri cadono nella stagione turistica che si vorrebbe in ripresa dopo il lockdown, gli animi si scaldano. Per capire quanto, basta leggere il bell’articolo di Felice Cavallaro sul Corriere dell’altro ieri da posti come Porto Empedocle, Favara e Caltanissetta, dove sindaci esasperati raccontano di essere insultati da cittadini stufi dei migranti, per pochi che siano. È poi un caso nel caso l’hotspot di Lampedusa, dove sabato scorso tunisini, nigeriani ed eritrei si sono contesi a sassate un metro d’ombra per stendere un materassino all’aperto, non trovando posto nella struttura, ciclicamente piena quattro o cinque volte oltre la propria capienza.

E qui che s’inserisce la rivolta di Musumeci. Sfidando Roma, il presidente della Regione, sostenuto da Salvini, ordina chiusura e sgombero di hotspot e centri di accoglienza siciliani, nonché blocco di qualsiasi sbarco. Materia indisponibile, spiegano i costituzionalisti: l’immigrazione è competenza esclusiva dello Stato; il ministero degli Interni ordina ai prefetti di tenere in non cale il provvedimento del ribelle. Lui allora vira sulla tutela della salute, che in effetti chiama in causa le Regioni, sommando emergenza Covid-19 e migranti. E diffida i prefetti, accusando il governo di voler addirittura mettere in piedi «campi di concentramento» travestiti da tendopoli. Sarà la magistratura, cui tutti affermano di voler ricorrere, a sciogliere il groviglio. Ma, anche a causa di dichiarazioni così sopra le righe, è difficile negare che Musumeci debordi, essendone ben consapevole.

Sarebbe tuttavia un errore derubricarne l’operato a mera azione strumentale. La mossa, che certo lo pone sugli scudi di propaganda della destra, calca l’accento su alcune verità difficili da negare: quelle che le brutte immagini dell’hotspot di Lampedusa hanno evidenziato agli occhi del mondo. Da quando s’è insediato, a settembre 2019, l’esecutivo Conte bis ha tentato di scansare in ogni modo la questione migratoria, consapevole della sua portata deflagrante per la fragile coalizione. Il Pd a guida Zingaretti chiedeva una cesura netta con la stagione di Salvini a cominciare dalla cancellazione dei molto controversi decreti Sicurezza varati dal capo leghista. I Cinque Stelle, che a quella stagione hanno collaborato a fondo con Luigi Di Maio, hanno recalcitrato sin dall’inizio, vedendo la cesura come una censura al loro stesso operato. Risultato: l’immobilismo. Se il ministro leghista aveva fatto male, il governo giallorosso non ha fatto nulla. Non un programma condiviso: solo la promessa di un maquillage, dopo le elezioni regionali, per cambiare come si può l’impianto salviniano, salvo nuovi rinvii o magari salvo intese. Non un piano complessivo per fronteggiare un problema che l’Italia vive come emergenza da trent’anni ed è invece, ovviamente, strutturale, per un Paese con settemila chilometri di coste proteso nel Mediterraneo. Non saranno «campi di concentramento» i centri per migranti in Sicilia e in giro per l’Italia (con certi paragoni bisognerebbe andarci piano per rispetto della storia). Ma sono spesso luoghi di vergogna, dove gli stranieri vivono ammassati diventando, loro sì, vittime del Covid-19: i focolai nelle ex caserme del Nord ne sono stati il primo segnale a inizio agosto. Ci vuole coraggio. Ciò che soprattutto il Pd sembra non capire è che chiudere gli occhi esorcizza gli spettri nelle stanze dei bambini, non nelle democrazie adulte. Persino lo sgombero di una sessantina di positivi dall’hotspot di Pozzallo, opportuno ma attuato soltanto dopo l’azzardo di Musumeci, porta acqua alla destra, consentendo al governatore siciliano di proclamare che «alzar la voce serve». Un bello spot per la chiusura della campagna elettorale sovranista.

CORRIERE.IT

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