Il Pd non trova l’anima e neanche il dna

La grande riforma riuscì a scriverla Silvio Berlusconi con Roberto Calderoli nel 2006. Le fondamenta sono quelle: meno eletti e compiti differenziati per il Senato. Si arrivò a fino al referendum confermativo ma, in dissenso dal dna, i Ds e la Margherita, appena prima della fusione che avrebbe condotto al Pd, si opposero al disegno di centrodestra, dichiarato autoritario, fascista eccetera, e contribuirono alla bocciatura. E poi dieci anni più tardi ci è riuscito anche Matteo Renzi con Maria Elena Boschi, sugli eterni presupposti che forse è il caso di non replicare. Altro referendum, a cui Martina e Zingaretti votarono sì, ma gran parte del Pd votò no (autoritarismo, fascismo…), insinuando il sospetto che lo scissionismo di sinistra sia congenito al punto da scindere persino il dna. Il quale, senz’altro, è mobile qual piuma al vento e infatti, a questo turno, ha suggerito di opporsi ai primi tre giri parlamentari e di accodarsi al quarto. Strano tipo di dna, a intermittenza sveglio o letargico, a seconda se passa un amico o un nemico.

L’HUFFPOST

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