Sì o No, ecco cosa cambia. Il referendum diventa un voto al governo

di RAFFAELE MARMO

È verosimile immaginare che il voto referendario del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari abbia effetti politici, oltre che costituzionali rispetto al merito del quesito. La vittoria del Sì stabilizzerebbe la legislatura e rappresenterebbe il più formidabile freno per ogni tentazione di elezioni anticipate: non fosse per altro che per il banale argomento in base alla quale una larga fetta di senatori e deputati non troverebbe più lo scranno anche se i loro partiti conservassero i consensi. Al contrario, il successo del No, oltre alla salvaguardia di un’adeguata rappresentanza parlamentare (in linea con gli standard delle democrazie occidentali), riaprirebbe i giochi sul destino della legislatura e sulle alleanze.

Si comprende, dunque, come i grillini innanzitutto, ma anche lo stesso premier Giuseppe Conte e l’area governista del Pd (con i ministri in testa) e della sinistra di Leu siano tutti favorevoli al taglio. Certo, per il Movimento c’è la paternità della battaglia con tutto il retroterra pseudo-culturale e populista anti-casta, ma possiamo stare certi che, come hanno detto addio alle altre loro bandiere (si pensi all’abbandono del vincolo del secondo mandato), avrebbero facilmente mandato al macero anche questa se non fosse stata tatticamente conveniente tenerla issata.

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