Referendum, stavolta il nemico è dentro di noi (e ha già vinto)
Perché non c’è il “grande nemico”, come nel 2005 quando votare contro la riforma Calderoli significava certo preservare la Costituzione, ma anche dare un colpo al governo Berlusconi. E come nel 2016 quando “bastava un no” certo per difendere la Carta nata dalla Resistenza, ma anche per far cadere Renzi.
Ecco le ragioni di un clima sonnolento, svogliato, estraneo alle pulsioni profonde e alle urgenze del paese, attorno al referendum sul taglio dei parlamentari. Il “grande nemico” non è il governo, la cui sopravvivenza non è discussione e che, anzi, troverà una polizza a vita proprio nell’istinto di sopravvivenza dell’attuale Parlamento, dopo la sforbiciata che lo renderà un miraggio per molti. Il “grande nemico” sarebbe – o meglio: è – l’antipolitica che, con questa con consultazione, inaugura una nuova fase della Repubblica. C’era una volta la Repubblica dei partiti, ora c’è la Repubblica dell’antipolitica che il 20 settembre avrà la sua data fondativa, con buona pace degli effetti sistemici in termini di distorsione della rappresentanza a legge elettorale vigente.
Un raccolto la cui semina è durata un ventennio: la contrapposizione ideologica tra piazza e Palazzo, popolo e casta, la personalizzazione del messaggio, la deriva oligarchica e il deficit di rappresentanza della democrazia italiana (vai alla voce: Porcellum), la tendenza a conquistare il potere attraverso la critica alla politica e alla sua funzione, la postura anti-establishment dei leader che si sono susseguiti, sia essa quella dell’imprenditore estraneo al sistema dei partiti, del giustiziere che i leader di quel sistema li ha mandati al gabbio, del rottamatore che non rinnova ma sfascia la sinistra o del tribuno del popolo con le piazze che osannano i suoi “vaffa”. Poi, la grande mietitura favorita dalla rivoluzione tecnologica e dalla grande crisi che ha piegato il ceto medio, spingendolo alla rivolta populista.
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