Referendum, stavolta il nemico è dentro di noi (e ha già vinto)

Il nemico, per non farla tanto lunga, è questa roba qua: uno spirito del tempo segnato dal rifiuto della politica e dell’establishment. Che ha già cambiato il rapporto tra cittadini e democrazia. Questo nemico ha già vinto. È già, si sarebbe detto una volta, egemonia nel paese e nella mentalità delle classi dirigenti. Ed è proprio la mancanza di una radicale alterità di visione a rendere disincantato e strumentale il posizionamento nella contesa. Il Pd, dopo aver sempre votato no in Parlamento, all’ultima lettura ha virato sul sì, sulla base della promessa di un “pagherò”, mai incassato, in termini di correttivi elettorali e istituzionali. Perché era la condizione per far nascere il governo.

Scambio ardito, che mina un principio cardine della sinistra repubblicana, la separazione tra governo e Costituzione e, con essa, una lunga tradizione politica: l’idea che regole sono di tutti, prescindono dai governi e che la sinistra è, innanzitutto, il partito della Costituzione, non il partito del governo che lega il mutamento delle regole alla sua sopravvivenza. È strumentale il sì, dato a una riforma che autorevoli esponenti della maggioranza del Pd hanno definito pericolosa, rimasto tale anche adesso che – ormai è evidente – i correttivi promessi sono destinati a rimanere scritti sull’acqua. Così come c’è una buona dose di tatticismo – diciamolo: sul referendum costituzionale è iniziato il congresso del Pd – in quei fautori del no che scoprono adesso la centralità del Parlamento ma che, al momento del voto, non lasciarono agli atti una crisi di coscienza in materia.

In fondo è l’esito scontato della logica di questi mesi, in cui in nome dell’emergenza democratica – quando c’era da fermare Salvini coi suoi pieni poteri – si è ingurgitato di tutto pur di fare il governo e poi – in nome dell’emergenza virale da contrastare – nessuno ha battuto ciglio di fronte a un paese chiuso in casa attraverso dpcm, senza passare dal Parlamento. Se il contagio populista, in materia di Carta fondamentale, è proprio l’atto costitutivo del governo, è complicato cercare un’alterità in un’opposizione che nuota nella stessa acqua. Si è capito che Salvini, che quella riforma l’ha votata con convinzione, sarebbe molto contento fosse affossata nelle urne, perché avrebbe più posti per soddisfare gli appetititi dei suoi, però non lo dice anzi si prepara la sera del 21 a ululare contro un Parlamento zeppo di abusivi e delegittimato dal voto popolare. E anche il vecchio Silvio, che giudica questo taglio una schifezza, lo ha fatto capire ma non pronuncia la sillaba “no”, perché comprende lo spirito dei tempi.

Vivaddio, qualcuno ci crede davvero al sì, come la Meloni e Di Maio, o almeno può presentarsi in versione sincera al ballo in maschera. L’affluenza dirà se il paese è appassionato al tema o se, ormai, è tale il suo rifiuto della politica che se ne frega anche di uno scalpo. Ma questo è un altro capitolo del discorso. 

L’HUFFPOST

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