La svolta verde. Per i fondi Ue servono veri piani sostenibili (evitiamo false promesse)

di Ferruccio de Bortoli

Il programma Next Generation Eu e le promesse dei politici

Siamo in trepidante attesa che qualche esponente del governo e della maggioranza dica, di fronte a una richiesta anche legittima, una semplice frase: «Questo non si può fare con i fondi d’emergenza dell’Unione Europea». E magari lo affermi, all’opposizione, anche chi ha ripetuto a lungo il mantra del «ce la facciamo da soli» e oggi eccepisce su ritardi, costi e trappole nascoste degli strumenti comunitari. Al contrario, assistiamo a un irresponsabile festival delle promesse secondo il quale tutto si può fare con i 209 miliardi che spettano all’Italia nell’ambito del Recovery and Resilience Facility, strumento principale del programma Next Generation Eu. Dalla riduzione delle tasse per imprese e famiglie, alla fiscalità di vantaggio per il Sud, al ponte o al tunnel di Messina, al finanziamento del Family Act, alla ricostruzione di Amatrice e via di seguito. E poi ci sono le Regioni e i Comuni, alcuni dei quali vorrebbero che la «torta» o il «tesoretto» (parole fuori luogo) si distribuisse in parti proporzionali. Un po’ a tutti.

I progetti annunciati (534) e i vincoli Ue

Nell’album immaginario degli interventi promessi i soldi sono già finiti da un pezzo. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, parlando al Meeting di Rimini, ha detto che sono già 534 i progetti arrivati dai vari ministeri e amministrazioni. Sostanzialmente sono stati svuotati i cassetti. Giorgio La Malfa su Il Mattino del 26 agosto ha rivolto alcuni opportuni quesiti al governo per conoscere nucleo e criteri di selezione e soprattutto la misurazione della redditività degli investimenti. Il rischio della frammentazione degli interventi è reale. Il tempo per elaborare un Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) è veramente scarso e scorre inesorabile mentre noi discutiamo di banchi a rotelle e di discoteche. I fondi dovranno essere impegnati per il 70% entro il 2022 e per il restante 30 entro il 2023, cioè «messi a terra» senza indugi. Le priorità sono note e vanno dalla sanità al capitale umano, dall’inclusione alla digitalizzazione. Il nostro grado di serietà nel presentarle (e farsele accettare) dipenderà molto dagli impegni che assumeremo nell’ambito della transizione energetica, della decarbonizzazione e della sostenibilità ambientale. Il verde è il colore dominante, basta che non sia troppo pallido o addirittura falso.

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