Referendum, il variegato fronte del «No» sogna la spallata dell’ultimo miglio
La «libertà di voto» di Berlusconi e Renzi
A destra, l’orientamento sembra essere dunque quello di lasciare libertà di voto a militanti ed eletti. Libertà «assoluta», ha garantito ad Agorà Estate su Rai Tre anche il numero uno di Forza Italia, Silvio Berlusconi. «Personalmente sono molto perplesso, in questo caso è un taglio russo che non si inquadra in una riforma complessiva del funzionamento delle istituzioni». Libertà di voto anche in casa Italia Viva: Matteo Renzi ha bollato il referendum come «inutile», negando sia che il taglio dei parlamentari rappresenti un attacco alla democrazia sia che costituisca una svolta storica.Leggi anche
Zingaretti: diero il No la volontà di destabilizzare
Resta la sinistra, dunque, a puntellare il Sì. A partire dal corpaccione principale del Pd. La direzione convocata il 7 settembre dovrà confermare la posizione, ma la lettera a Repubblica del segretario Nicola Zingaretti già dice tutto: dietro le critiche alla scelta di sostenere la riforma, secondo Zingaretti, ci sarebbe «un’insofferenza verso il governo, la maggioranza e il lavoro svolto». In altre parole «l’ipocrisia di chi agisce per destabilizzare il quadro politico attuale». Parole poco gradite da chi tra i dem aveva già anticipato il suo No, come il senatore riformista Tommaso Nannicini: «Manicheismo e processo alle intenzioni scattano sempre a sinistra quando scarseggiano idee e visione». Il collega Francesco Verducci accusa Zingaretti di «distorsione inaccettabile». E anche il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, pur restando per il Sì, avverte: «Il Pd non è una caserma».
I bilanci all’orizzonte
Fibrillazioni e veleni fanno capire chiaramente che all’indomani del voto si tireranno le fila. Il M5S potrà intestarsi soltanto la probabile vittoria del Sì al referendum, un risultato con cui conta di oscurare la scontata irrilevanza delle sue liste alle elezioni regionali. Nel Pd invece si aprono due scenari: se terrà in Toscana, nelle Marche e in Puglia, Zingaretti potrà evitare il “processo” interno e difendere il percorso imboccato con la coalizione giallorossa, compresa la difesa del taglio dei parlamentari e delle riforme correlate in nome del rispetto del patto di governo. Se invece l’argine nelle regioni rosse non terrà, anche il Sì alla consultazione referendaria gli verrà rinfacciato come esempio di subalternità (perdente) al populismo. All’ipotesi remota di una rimonta in extremis del No credono in pochissimi, ma tutti concordano: travolgerebbe i Cinque Stelle come una slavina. E rischierebbe di trascinare con sé anche il governo.
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