L’attività e l’efficacia del nostro Parlamento

Ha criticato il modo in cui il governo «gioca» con i decreti legge, ad esempio, abrogando le norme di altri decreti legge in sede di conversione; o inserendo nella legge di conversione proroghe in blocco dei termini di deleghe in scadenza; oppure trascinando tutte le deroghe alla legislazione vigente con la proroga dell’emergenza. Nel «Rapporto sulla legislazione» è inoltre segnalato il fenomeno del «monocameralismo alternato» (la necessità di convertire in legge entro due mesi i decreti legge impone ad una delle due Camere di approvare a occhi chiusi il testo approvato dall’altra). Secondo paradosso: il Parlamento lavora molto, ma decide poco.

Il vincitore è, quindi, il governo? Forse, sul breve periodo. Ma tutta questa massa di norme da esso originate richiede ulteriori norme applicative (regolamenti ed atti amministrativi). Alla sua nascita, l’attuale governo aveva una eredità di circa 170 decreti da emanare. Ne ha ora circa 300. Ma il governo è anche prigioniero della sua frenesia legislativa: più vuole regolare, più si lega le mani. Negli ultimi decreti legge vi sono norme che hanno la forma, ma non la sostanza di legge, sul rinnovo degli inventari dei beni mobili dello Stato, sulle dimore storiche, sui campionati mondiali di sci alpino, sui patronati (anche ai sindacati bisogna dare un non piccolo contentino), sul modo di fare i concorsi per il reclutamento di dipendenti in questo o quel ministero. Che la legge contenga norme generali ed astratte è una favola relegata nei manuali di diritto costituzionale. La realtà è il dominio della «ad-hoc-crazia» (un neologismo coniato dalla politologia americana per indicare gli abiti istituzionali su misura). Così il governo pensa di abbreviare gli «iter» di decisione, sostituendosi all’amministrazione. In realtà, produce distorsioni e vincoli: trasforma la legislazione in amministrazione; aumenta l’ordine labirintico della burocrazia, le lega le mani, ma lega anche le proprie (perché, volendo introdurre mutamenti successivi, il governo dovrà ricorrere ad un’altra legge); rende la vita difficile ai cittadini che non sanno dove stanno le regole, e dove le deroghe ed eccezioni. Il risultato finale è la balcanizzazione dello Stato (perché le deroghe «ad hoc» hanno più ampio campo di applicazione delle regole), il dominio dei giuristi del cavillo e dei sottili distinguo, la perdita di unità dell’ordinamento, il predominio delle diseguaglianze. Ultimo paradosso: da queste storture tutte le istituzioni escono perdenti, e con loro la società italian

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