Blangiardo (Istat): «Con il Covid nascite ai nuovi minimi. Scenderemo sotto 400 mila, il welfare deve cambiare»
Come reagire?
«Dobbiamo rendere compatibili lavoro e maternità, con un maggiore coinvolgimento dei padri».
Più congedi di paternità?
«C’è
anche un aspetto culturale. Ci siamo sempre illusi che dovesse essere
lo Stato a risolvere il problema con un bonus, un aiuto, una legge.
Invece occorre coinvolgere su questa vera e propria emergenza anche
altri attori: il non profit o le imprese, che possono offrire ai
dipendenti il servizio di asilo nido. Non è paternalismo, è un
investimento. Stiamo prendendo coscienza del problema solo ora, iniziamo
a capire che se non facciamo niente la questione diventa veramente
problematica per il welfare».
Che intende dire?
«Oggi
abbiamo 33 ultrasessantacinquenni ogni cento soggetti in età attiva. Tra
trenta o quarant’anni questo numero raddoppia, dunque raddoppia anche
la fetta delle pensioni in proporzione al prodotto interno lordo. A quel
punto o raddoppiamo la torta, ma sappiamo che non è così semplice…»
Oppure non ci saranno soldi per scuola o sanità?
«…oppure
dovremmo tagliare altre cose, è inevitabile. Questa è la guerra tra
poveri che sarebbe bene evitare. Ormai c’è una certa consapevolezza del
problema. Ma anche resistenza nel prendersi la responsabilità di fare
qualcosa per risolverlo».
Il Covid sta rovesciando il paradigma per cui in Italia la speranza di vita migliora più a Nord che a Sud?
«Senz’altro
c’è una fortissima variabilità nei territori. A Roma o a Agrigento la
mortalità quest’anno scende rispetto al 2019, mentre per Bergamo o per
la Val d’Aosta naturalmente è vero l’opposto. Certo la speranza di vita
riflette sempre i dati più recenti, ma è solo una proiezione statistica.
Detto questo, l’effetto Covid dovrebbe produrre certo un numero di
decessi drammatico, ma non enorme nel confronto storico. Non sono i 600
mila morti della febbre spagnola, per capirci».
L’INTERVISTA
Gay (Confindustria): vanno incentivati i mestieri digitali
di Rita Querzè
Che cifre ha in mente?
«Abbiamo
fatto delle simulazioni, immaginando diversi scenari. Si va dai 40 mila
morti in più rispetto al 2019 agli 80 mila, ma in quest’ultimo caso
solo con una seconda ondata che aumenti del 50% il rischio di morte per
gli anziani».
La crisi
Lavoro, persi 500 mila posti. Risalita a luglio con le donne
di Alice Scaglioni
Lo scenario centrale è di 60 mila morti in più?
«In
teoria sì. Ma la seconda ondata, se ci sarà — speriamo di no — sarà
meno dura dal punto di vista della letalità. Abbiamo capito come gestire
meglio questo fenomeno. Noi all’Istat stiamo lavorando, con l’Istituto
Superiore di Sanità e alcune università, per mettere in piedi un sistema
di monitoraggio per identificare in fretta i focolai e segnalarli.
Anche avere 40 mila morti in più sull’anno prima è drammatico, chiaro,
ma sarebbe sempre meno di quanto è successo nel 1956 o anche nel 2015
rispetto agli anni precedenti».
La fuga dei giovani all’estero frena l’economia. In questo la riduzione della mobilità dovuta a Covid può aiutare?
«Prima
del Covid, spesso il Paese non era in grado di dare un futuro ai
giovani. Stupidamente investiva su di loro, li formava e li regalava al
resto del mondo. Anch’io ho una figlia a Londra. Ora i giovani sono a
casa, ma solo perché la mobilità si è bloccata. La scommessa sarà
riuscire a creare condizioni che consentano loro di restare anche dopo
per la ricostruzione. Altrimenti andranno a fare la ricostruzione degli
altri Paesi».
I dati dell’occupazione durante la pandemia dicono che sono sempre i giovani a pagare.
«Sono le fasce meno protette, che si fanno carico di tutta la flessibilità. Credo che la parola magica sia opportunità. Magari con regole un po’ più adatte non a licenziare o a sfruttare, ma a dare a ciascuno la possibilità di trovare il posto giusto».
CORRIERE.IT
Pages: 1 2