Il M5S alla resa dei conti. Tutto pronto per la scissione

Fabio Franchini

A inizio 2020 Luigi Di Maio si toglieva simbolicamente la cravatta per dimettersi dal ruolo di capo politico di un Movimento 5 Stelle in costante calo di consenso. Da quel giorno le redini del partito le ha prese il reggente Vito Crimi, vicino a Beppe Grillo fin dal 2007, ma le cose per il M5s non sono certo migliorate.

I rapporti tra il comico genovese e Davide Casaleggio si sono raffreddati – eufemismo – e attualmente il partito è spaccato tra i fan del padre fondatore e i sostenitori del figlio di Gianroberto. Ecco perché la scissione, allora, non è più una chimera.

In tutti questi mesi, è proseguita lenta e inesorabile l’emorragia di consensi; gli ultimi sondaggi a livello nazionale danno i pentastellati al 15% circa, e tallonati da Fratelli d’Italia. Alle porte c’è l’appuntamento delle Regionali – in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia – e la tornata elettorale spaventa non poco i grillini, terrorizzati dalla possibilità di crollare (sotto) al 10% nelle sei regioni chiamate a esprimersi. Cosa che, ovviamente, avrebbe effetti devastanti sul presente e il futuro dei Cinque Stelle. Oltre che della maggioranza giallorossa. Sondaggio da incubo terrorizza i 5Stelle: “Finiremo sotto il 10%”

Il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari – ammesso che vinca il “Sì” – potrebbe mitigare in parte una cocente sconfitta alle Regionali, ma allo stesso tempo rappresenta un rischio per il Movimento. Se il “Tagliapoltrone” grillino dovesse passare, il numero degli eletti in Parlamento si ridurrebbe di 345 unità (passando dal 945 a 600): visto il volume elettorale attuale del M5s, alle prossime elezioni quasi due parlamentari grillini su tre rimarrebbe tagliato fuori.

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