Covid, positivo ma asintomatico? Vietato lavorare anche con lo smart working
Insiste sugli effetti negativi dell’impossibilità dello smart working per i positivi asintomatici Emmanuele Massagli, presidente di Adapt: “Si tratta di valutare se sia quella citata una vera situazione di indisposizione che impedisce la prestazione lavorativa per debolezza del soggetto o per i rischi che il lavoro da casa potrebbe avere sul fisico della persona. Invero, nessuna delle due situazioni si realizza: il contagiato totalmente asintomatico è in grado di lavorare e se lo fa non mette a rischio la propria salute. Metterebbe a rischio quella dei colleghi qualora si recasse sul posto di lavoro; per questo si discute del suo coinvolgimento in smart working. Ma a oggi questo non è possibile. E dunque si tratta di intervenire”. Il perché è evidente: “Il rischio è quello di ritrovarsi in autunno con centinaia di migliaia di persone ferme in casa e impossibilitate a lavorare. Un ulteriore tegola sulla ripartenza del nostro Paese, che si prospetta assai lenta”.
Un concetto sul quale insiste con forza Maurizio Del Conte, giuslavorista bocconiano, primo presidente dell’Anpal: “Il lavoro in sé in smart working non è un fattore di rischio. La norma va cambiata nell’interesse del lavoratore, dell’impresa e del Paese. Ci si è fatti prendere la mano dall’idea che le risorse sono infinite, ma questo è un suicidio come prospettiva”.
E punta proprio sul piano etico-sociale l’argomento a favore del lavoro da remoto dei positivi asintomatici di Marco Bentivogli, ex leader della Fim Cisl, autore del recente saggio In-dipendenti, guida allo smart working: “Servono responsabilità individuale e fiducia nelle persone se non si vuole uccidere in culla lo strumento. Non si può guardare ad esso, come nella norma citata, con un’ottica basata sul lavoro novecentesco”.
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