L’ultimo delirio di un quaquaraquà

Alessandro Sallusti

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà», fa dire Leonardo Sciascia al protagonista del suo romanzo Il giorno della civetta.

Io non ho tanta pratica del mondo, ma nel mio piccolo penso che Carlo De Benedetti, volendo usare quelle categorie, non appartenga alla prima e neppure alla seconda. Infatti non dico gli uomini, ma neppure i mezzi uomini dicono a un rivale in grave difficoltà di salute: «Mi spiace, ma è un imbroglione», come ieri Carlo De Benedetti ha detto su Silvio Berlusconi ricoverato al San Raffaele di Milano per complicazioni da coronavirus. È una espressione da ominicchi, da pigliainculo e da quaquaraquà, categorie che l’ex editore della Repubblica riassume, sia pure con un certo stile vivendo nei dorati salotti svizzeri.

Se Berlusconi è «un imbroglione» vorrei sapere come De Benedetti definirebbe un imprenditore (lui stesso) arrestato dopo avere ammesso di avere pagato, da presidente della Olivetti, dieci miliardi di tangenti, un imprenditore (sempre lui stesso) coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano oltre che in inchieste per insider trading e in una lunga serie di fallimenti, risanati sempre con denaro altrui.

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