Cacciari e il Covid: ora torniamo a vivere. “La paura uccide, chi fugge è un disertore”
di RAFFAELE MARMO
“Il termine paura deriva da ’phobos’ e da qui le fobie. Ma ha la stessa radice di ’feugo’, che vuol dire fuggire. Ma se la paura ci fa fuggire, è un disastro, una pre-morte”. Massimo Cacciari, da filosofo di rango, la prende da lontano, ma arriva molto diretto e molto vicino a noi. “Bisogna tornare a lavoro, bisogna tornare a scuola e nelle università. Ogni assenza, per il terrore del virus, sarebbe una diserzione intollerabile. Non possiamo permetterci un altro lockdown. Sarebbe una catasfrofe”.
Professore, gli italiani hanno avuto e tornano ad avere paura del Coronavirus: siamo al 90 per cento per Ilvo Diamanti.
“La paura è qualcosa di ragionevole, perché siamo in presenza di un’epidemia che non è passata e per la quale non abbiamo strumenti efficaci per combatterla. Ma la paura non può e non deve trasformarsi in fuga. Dobbiamo capire che, superata una fase di estrema emergenza che poteva anche consigliare il chiudersi in casa, questa non può essere una situazione che si ripete perché altrimenti non si trasforma neanche in fuga ma in morte. In auto-sepoltura”.
Dunque, nessuna paura e nessun alibi per non tornare a scuola o in ufficio.
“Con una paura che non è fuga, ma attenzione, precauzione, intelligenza. Consapevolezza dei propri limiti. Ma bisogna tornare a scuola perché non si fa scuola a distanza, perché la scuola è comunicazione, è comunità. In tutti i settori privati si è tornati a lavorare: e quelli che lo hanno fatto non sono suicidi, come non sono assassini i datori di lavoro. Non è possibile, per esempio, che a Milano su 30mila dipendenti del comune ve ne siano solo tremila in ufficio. Questo significa non fare gli atti e chi paga per questo sono sempre i cittadini più deboli economicamente e culturalmente”.
Ma non è che noi italiani abbiamo, più di altri, paura della morte anche per ragioni che affondano nel nostro retroterra storico-culturale?
“Può darsi che questo aspetto abbia un ruolo. Popoli europei con un’etica protestante hanno una cultura più dura del lavoro inteso come missione che va affrontato anche correndo rischi e pericoli. Noi, se possiamo, tendiamo a evitarci missione e pericoli. Anche l’etica della morte è differente. Noi ci affidiamo di più alla grazia del Signore. Però queste differenze tendono anche a scomparire e rimangono le grandi differenze tra sistemi politici e sistemi di servizi pubblici”.
Si riferisce a come la politica ha gestito l’emergenza e a come affronta l’autunno?
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