Stress, isolamento, meno efficienza. Ecco il lato oscuro dello smart working

di CLAUDIA MARIN

Non è tutto smart il “lavoro agile di massa” di questi mesi. A dispetto della mistica talvolta eccessiva che ha esaltato questa formula come la salvezza dell’economia e dello stipendio, proprio le esperienze di questa stagione mettono in evidenza anche quello che è stato definito “il lato oscuro dello smart working”. Un lato fatto di isolamento, stress, prigionia domestica, connessione continua o raddoppio dell’impegno (principalmente per le donne), ma anche di drastico crollo della produttività degli stessi lavoratori, come nel pubblico impiego, con la perdita verticale di efficienza nei servizi pubblici.

I numeri e le ragioni dell’impennata del fenomeno sono noti. L’emergenza Coronavirus ha imposto un’accelerazione senza precedenti. E così, in pochissime settimane, ci siamo trovati a essere un popolo di smart workers: dati Istat alla mano, con milioni di addetti in cassa integrazione, si è passati dall’1,2 per cento all’8,8 in pieno lockdown per stabilizzarsi al 5,3 nella fase 2 e 3, ma con punte dell’80 per cento nel pubblico impiego. Insomma, 4-5 milioni di persone, che per la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, potrebbero arrivare a 8 milioni.

La grande sperimentazione di massa della formula, però, ha fatto emergere i limiti e le controindicazioni connesse a un passaggio travolgente avvenuto largamente senza cambi di organizzazione produttiva e di mentalità, senza tecnologie adeguate, digitalizzazione diffusa e precauzioni opportune. Tanto che, non a caso, se vi sono giganti che confermano oggi strutturalmente e per tutti la tendenza, come la Banca Schroders, altri stanno tornando indietro, almeno in parte.

Covid, lavoratori fragili. “L’età non basta per esserlo”

Se guardiamo agli effetti “negativi” a livello individuale, un sondaggio di LinkedIn ha rivelato che una quota del 46 per cento degli italiani in smart working nel settore privato ha dichiarato di sentirsi più ansiosa e stressata per il proprio lavoro rispetto a prima, manifestando disagio, fatica, stati di agitazione, insonnia, attacchi di panico. E non mancano esperti di medicina del lavoro che parlano di vera e propria sindrome da burnout da smart working.

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