La complice omertà sulla cocaina
di MICHELE BRAMBILLA
Sul Corriere della Sera di ieri Beppe Severgnini, prendendo spunto dai festini di Bologna con minorenne, ha finalmente alzato il velo sulla più colossale ipocrisia nazionale, anzi sulla più colossale censura: quella che impone di non denunciare il pericolo del consumo di cocaina. Si dice infatti che è un male lo spaccio; ma sul consumo scatta una complice omertà. L’articolo di Severgnini è un fatto importantissimo perché segna una svolta. Finora i grandi media avevano sempre glissato. Pochissime le eccezioni, fra cui la coraggiosa Maria Latella, la quale da anni grida che la droga fa male. Tutta la droga.
Scrive Severgnini: “Quando una ragazza di diciassette anni dice: ‘Mi hanno offerto agli altri, ero troppo fatta per dire no’, dovremmo farci una domanda. Perché accettiamo che la cocaina sia diventata protagonista della vita nazionale?”. E ancora: “Leggete con attenzione i resoconti in cronaca – i pestaggi, le risse, le aggressioni, perfino gli omicidi – e scoprirete che la cocaina c’entra quasi sempre”. E poi: “Chiedete alla polizia o ai carabinieri cosa c’è dietro molti incidenti stradali”. Verità ovvie, evidenti. Ma taciute, appunto, da un media system attentissimo al rispetto dell’ambiente, alle diete, alla prevenzione delle malattie. Il colesterolo e la glicemia sono veleni, ma della droga non si parla. I fumatori sono considerati assassini, dei cacciatori non parliamo neppure: ma chi consuma droga, beh, che c’è di male, sono problemi suoi. E invece no.
“Il consumo di cocaina non è soltanto affare loro, come sostiene qualcuno; è anche affare nostro”, scrive Severgnini, che propone di “rendere pubblica l’identità del consumatore abituale”, perché uno avrà pur diritto, santo Dio, di sapere se il proprio medico, il proprio sindaco o l’autista dello scuolabus del proprio figlio è uno che si fa di coca.
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