A Cernobbio con la sacca vuota
In attesa del premier quella stessa platea aveva messo in fila due priorità: fare presto e fare bene sul Recovery Fund – messaggio questo lanciato con forza da Sergio Mattarella in avvio dei lavori – e il Mes. Di quest’ultimo il premier fatica come sempre a parlare, si rifugia in un futuribile percorso parlamentare, solo in caso di necessità, malgrado le richieste crescenti del Partito Democratico perché venga attivato. Sul piano di rilancio che il Governo deve presentare all’Europa a ottobre, invece, il punto di caduta è ancora quello della gestazione: “Stiamo lavorando per concretizzare le proposte progettuali che compongono il piano, le linee guida saranno presto discusse al Ciae, poi presentate alle parti sociali e alla preziosa interlocuzione con il Parlamento”. La mancata congiunzione con la platea si concretizza qui perché le parole di Conte non danno sostanza alla linea sollecitata da Mattarella, ma anche dall’intervento molto apprezzato di Paolo Gentiloni e di quasi tutti i presenti, quella di trasformare in progetti, numeri, quantomeno in fatti l’occasione che arriva dall’Europa, tanto festeggiata ma ancora lasciata lì. Parcheggiata dietro altre questioni, dal Mattarella-bis, al referendum, a quelle Regionali che vuole tirare fuori dalla dimensione del test di Governo.
Anche il tentativo di rilanciare la riforma fiscale, che ha il sottotitolo del taglio delle tasse – “ma non usando i soldi europei” assicura Conte – così come quello della decontribuzione al Sud che sarà permanente, non ha dietro di sé la forza dei particolari, soprattutto dell’avanzamento. E il progetto della rete unica – uno dei punti cardine del rilancio del Paese – è consegnato all’auspicio che sia aperto e inclusivo, quando invece sta partendo già zavorrato da veti e ritardi.
Ecco allora che il tentativo prova a lasciare spazio a un altro messaggio, quello della fiducia. Verso il Paese e verso il Governo che presiede esattamente da un anno. L’anno scorso l’assenza obbligata per il giuramento al Quirinale, quest’anno il ritorno a Cernobbio con il fardello dell’exit strategy dalla pandemia e dalla crisi in cui il Paese è precipitato. ”È il momento di ripartire e di tornare a crescere, abbiamo ancora energie non messe a frutto, abbiamo un’occasione storica”, insiste mentre i minuti passano e toccano quota quaranta. Arrivano gli applausi perché la fiducia, meglio la necessità di riassaporare fiducia, è il sentiment che pervade il salotto di Cernobbio tra mille incognite e dubbi.
Conte chiede tempo e fiducia, rievocando il risultato del passato quando il Governo “non sapeva cosa sarebbe successo in termini di ordine pubblico e della società”. Tira in ballo i cento miliardi che hanno riempito i decreti per aiutare imprese, lavoratori, la sanità e la scuola. Traccia una linea di rassicurazione netta anche sul fronte sanitario, a cui è legato il tentativo di rimbalzo, affermando che i nuovi contagi sono legati a “distrazioni agostane” ma che sono comunque nettamente inferiori a quelli dei Paesi vicini. Prova ancora a trovare un collante con la platea con un “ci dobbiamo soffermare” sul che fare, su una “nuova normalità” da tirare su. Troppo poco per affrontare l’autunno che verrà.
L’HUFFPOST
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