Rete unica, il rischio di un cantiere infinito. Tim non vuole Mediaset

Nuovo campo di gioco, nuove regole. L’accordo sulla rete unica è stato fatto prima della sentenza, ma ora rischia di essere infettato dalla decisione. Sono bastate poche ore alla società della famiglia Berlusconi per annunciare che questo liberi tutti deve essere un liberi tutti effettivo, che deve valere cioè per tutti. Non solo per il gruppo transalpino di Vincent Bollorè. Come? Con l’interesse di Mediaset a entrare nella partita della rete unica. 

Ma la diffidenza di Tim ci ha messo altrettanto poco tempo ad affiorare. Alla prima uscita pubblica dopo la sentenza, Gubitosi ribadisce più volte di non comprendere il senso dell’interesse di Mediaset. Ecco un altro passaggio della risposta data ai giornalisti in conferenza stampa: “Mi rendo conto sia suggestivo il momento vista la sentenza, ma l’accordo è stato precedente e non ha nessun collegamento con questa tematica. Se ci fosse interesse di qualcuno lo valuteremo ma non è ovvio, industrialmente parlando”. In queste parole è contenuto un dato di peso. L’accordo sulla rete unica è stato fatto prima della sentenza. Non è una questione temporale, ma di contenuto. Il senso è chiaro: l’architettura societaria della rete è stata tirata su. Certo non in modo definitivo, Tim è disposta anche ad avere solo la maggioranza e non il controllo della società della rete unica, ma un altro conto è stravolgere questo impianto. L’amministratore delegato di Tim precisa in un passaggio successivo che ogni interesse sarà valutato, come quello di Enel, ma sul non sense dell’interesse di Cologno Monzese è netto. Un altro passaggio: per la rete unica “abbiamo sempre pensato alla partecipazione di tlc, Fastweb e Tiscali hanno fatto degli accordi. Netflix e Disney, ad esempio, usano la nostra rete ma non necessariamente sono azionisti della società. Non credo quindi” che l’interesse di Mediaset “toccherà il progetto, almeno in tempi brevi”. 

Il confine labile che corre lungo la dorsale della partita è fissato proprio dal contenuto dell’interesse di Mediaset. È solo una contromossa politica e strategica al vantaggio che Vivendi ha ottenuto dalla sentenza della Corte? Anche perché se Mediaset entra nella rete unica si trascina dietro i francesi, che riattivando il loro 28,8% possono tornare a contare nelle assemblee straordinarie, quelle dove si prendono le decisioni strategiche. Ma al di là delle reali intenzioni della famiglia Berlusconi, la mossa costringe tutti gli attori coinvolti a prendere atto di una consapevolezza: non ci si può opporre al campo di gioco unico e più largo. Lo dice la Corte, lo dice il mercato, ne è convinto anche il Governo che ha già messo in cantiere la necessità di cambiare la legge Gasparri. Anche la rete unica non può sfuggire allo tsunami che ha travolto il mondo dei media e delle tlc. E poi ci sono i tempi. Gubitosi assicura che quelli per trasformare il memorandum firmato con la Cassa in un business plan pluriennale condiviso saranno “veloci”. Giuseppe Conte vuole che tutto si chiuda in 3-4 anni (il doppio di quelli indicati da Fabrizio Palermo in una recente intervista a Repubblica). Anche con Mediaset. “Perché no?”, dice il premier, rinnovando l’invito a una rete aperta e inclusiva. Ma il benvenuto ai nuovi interessati non lo decide solo lui.

L’HUFFPOST

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