Perché Elly Schlein dà così fastidio
Generazione Elly Schlein
Le disuguaglianze, l’ambiente, le piazze da far contare dove si decide, i trentenni, il disagio e la possibilità di un nuovo modo di essere politica. Dialogo a tutto campo con la vicepresidente della regione Emilia-Romagna
È notorio l’adagio per il quale se non puoi batterli, puoi metterti con loro. Meno nota la variante: se non puoi batterli, puoi offenderli. Ed è dunque in qualche modo nelle cose che, nel mezzo dell’eccezionale numero di reazioni all’intervista a Elly Schlein (c’è chi l’ha proposta segretaria del Pd, chi ministra, chi presidente del Consiglio), una personalità come quella di Marco Gervasoni, docente all’Università del Molise, si sia sentita in titolo di commentare non la sostanza di quanto detto dalla vice presidente dell’Emilia-Romagna, ma la sua forma estetica nella foto di copertina. Non la sostanza: l’involucro. Un sintomo del grado di difficoltà incontrato, evidentemente. Un sintomo anche del grado di fastidio che è capace di suscitare l’irrompere nella scena di una giovane, intelligente, fluente, densa di passione e di studio, che trasuda talmente tanta sostanza da rovesciare tutte le ortodossie. Faccenda parecchio irritante, ne conveniamo.
Si può misurare un abisso per sottrazione? Certo che si può. E così come è nelle cose che i Gervasoni parlino, è nelle cose che una come Elly Schlein non risponda neppure, e anzi si rifiuti di farlo, tagli fuori tutto quel che lo riguarda. Non retweet, non commenti, non interviste. Perché il livello del dibattito non può essere portato dove lo vogliono i Gervasoni. Né può proseguire su quell’onda, come se fosse davvero interessante farlo: non lo è.
Ad aggravandum, si deve putroppo notare come la politica invece proprio a Gervasoni abbia voluto rispondere. I tanti attestati di solidarietà arrivati a Schlein da molta sinistra e anche dal Pd zingarettiano da lei definito «inerte», non hanno travalicato infatti il livello estetico dell’immagine, dell’aspetto, delle allusioni. Nessuno si è finora disturbato a rispondere nel merito alle proposte, alle critiche, alle osservazioni mosse da Schlein a gran parte del suo mondo, anche con coraggio non comune («abbiamo un elefante immobile, il Pd, e dall’altra parte 14 sigle di sinistra, tutte uguali. Un panorama respingente»). Non Zingaretti. Non gli esponenti delle 14 sigle.
In questo senso, purtroppo, chi allude per offendere e chi allude per difendere finisce in qualche modo per colludere, come in un perverso girotondo, alla perpetuazione dello stesso modello. Alla cristallizzazione di un mondo nel quale, quando la sostanza fa paura, si passa allora all’involucro. Come fossimo sempre condannati a restare imbozzolati in quell’adagio di Coco Chanel: «Vestite male e noteranno il vestito, vestite bene e noteranno la donna». Ma lei commerciava in moda, il suo era marketing: e ormai vecchio di quasi cent’anni. Non serve solidarietà al vestito: serve smettere di parlarne.
«Il pensiero è come l’oceano, non lo puoi bloccare non lo puoi recintare»: furono le sardine, lo scorso novembre, a fare della canzone di Lucio Dalla il loro inno. Ecco se si staccano gli occhi dai Gervasoni e dalle solidarietà demo-piddine, il «pensiero che da fastidio» viene discusso nel merito dal mare del web, che lo sta usando per incarnare la sua domanda di futuro. Una fame fortissima, che è difficile da vedere, e alla quale è ancora più difficile proporre una risposta. Tanto che già torcersi le mani, chiedendosi come fare, risulta irritante come una reazione fuori scala. Per fortuna, a quanto pare, la protegge il mare.
L’ESPRESSO
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