Willy Monteiro, quel filo rosso che unisce i delitti romani
di DANIELE AUTIERI
Willy Monteiro Duarte, Luca Sacchi, Manuel Bortuzzo. Tre storie lontane che nel giro di pochi mesi hanno macchiato di sangue innocente i marciapiedi di Roma. Tre vittime sconosciute, uccise o costrette alla sedia a rotelle da uomini violenti che rispondono tutti allo stesso identikit, quello di una nuova specie di predatori, giovanissimi, senza freni, ispirati dagli stessi modelli, votati al culto del fisico, assuefatti alla voglia di denaro. Nei commissariati di polizia come nelle caserme dei carabinieri, agenti e militari tracciano di giorno in giorno il profilo di questi nuovi killer, non più confinati al “mondo di sotto”, ma liberi di scorrazzare nelle praterie sociali, cercando un riscatto in nome della violenza.
Francesco Belleggia, Mario Pincarelli e i fratelli Marco e Gabriele Bianchi. Tutti tra i 22 e i 26 anni. Sono loro i ragazzi accusati di aver infierito per venti minuti sul corpo di Willy, colpevole di aver provato a difendere un amico. Esperti di MMA, istruttori di karate, maestri nel menare le mani. Una lacrima nera tatuata sotto l’occhio e il Suv Q8 usato come un blindato. L’estetica della violenza è una merce in saldo e disponibile per tutti, dagli adolescenti che accendono le notti di Trastevere alle vecchie glorie come Massimiliano Minnocci, al secolo il Brasiliano, reso celebre dallo scontro televisivo con Vauro, e avviato – a detta sua – a un percorso di recupero sociale che passa per la sostituzione del tatuaggio di Hitler con quello della Madonna Addolorata.
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