Covid, cavalli, reti e città

di   Beppe Severgnini

Nel 1880 a New York circolavano centocinquantamila cavalli Ognuno produceva otto/dieci chili di escrementi solidi al giorno, e alcuni litri di liquidi. Risultato: sulle strade, ogni ventiquattro ore, si depositavano più di un milione di chili di escrementi solidi e fiumi di urina. Nelle zone di raccolta, il letame arriva fino a trenta metri di altezza. Il problema era angoscioso, discusso, dibattuto. Ma la soluzione non si trovava: dei cavalli, che trainavano i tram, non si poteva fare a meno. Poi sono arrivate l’elettricità e l’automobile. Problema risolto.

 Devo questo racconto a Gianrico Carofiglio, con cui venerdì ho condiviso un palco al Festival della Comunicazione di Camogli. Storia istruttiva, perché dimostra come gli uomini pensino al domani usando i codici di oggi; e sbaglino le previsioni. Il coronavirus scoraggia gli assembramenti, rende insidiosi i luoghi chiusi, spinge il lavoro a distanza. Così qualcuno ha decretato la fine del modello urbanistico che conosciamo. Città, bye-bye? Frettoloso, forse.

  Avremmo dovuto parlarne ieri con l’architetto Stefano Boeri, che ha dovuto rinunciare in seguito alla scomparsa della mamma, Cini Boeri. Li abbiamo ricordati, mamma e figlio, e abbiamo provato a ragionare comunque sulla questione, con Edoardo Garrone (presidente Erg) e l’amico/collega Venanzio Postiglione, che ha accettato di darci una mano. Camogli, Crema, Genova, Milano. Città turistiche, piccole città, grandi città: che ne sarà di loro?

  La risposta è: troveranno — come sempre — un ruolo. Le città sono forme di intelligenza collettiva, non possiamo farne a meno. Ma dovranno cambiare. Le piccole città hanno bisogno di trasporti efficienti: Camogli è perfetta per lo smart working, ma non basta un solo trenino da Milano. Lavorare a distanza, immersi nella campagna intorno a Crema?

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