Regionali 2020, i curricula di tutti i candidati: ecco le loro vere competenze
La Regione finanzia il sostegno alle imprese, alle start up, all’agricoltura e agroalimentare, decide gli incentivi al commercio, artigianato, turismo, finanzia i corsi di riqualificazione professionale, e la formazione per chi non fa il liceo o gli istituti tecnici. Decide le politiche di contrasto alla povertà e offre i servizi di collocamento lavoro con l’incrocio della domanda e dell’offerta. Spetta alla Regione decidere come spendere i finanziamenti europei: quello del Fondo sociale, quello per lo sviluppo regionale e dell’agricoltura. E in ballo ci sono miliardi di euro. Ha competenza sulle valutazioni di impatto ambientale, sul controllo della qualità di aria e acque, autorizzazioni alle bonifiche, leggi urbanistiche, condizioni di accesso e finanziamento dei servizi sociali, compresa l’edilizia popolare.
I requisiti di un candidato
Dovrebbe essere scontato, allora, che i candidati posseggano competenze ed esperienze riconosciute e imprescindibili. Con l’aiuto del politologo dell’Università Statale Nicola Pasini, abbiamo individuato i principali requisiti: buon titolo di studio, alta reputazione, zero conflitti di interesse, nessuna pendenza con la giustizia, conoscenza profonda della macchina politica e amministrativa. Vuol dire in pratica aver fatto almeno il sindaco di una grande città (non di un piccolo paese) o aver già gestito organismi complessi, e in entrambi i casi prodotto risultati noti. Per Veneto, Liguria, Campania e Puglia, i Presidenti in carica si ricandidano, e quindi i cittadini hanno già gli strumenti per valutare se hanno fatto bene o male.
Chi sono gli sfidanti di Zaia
In Veneto, a sfidare il leghista Luca Zaia, per il Pd c’è Arturo Lorenzoni (a cui va innanzitutto l’augurio di pronta guarigione dal Covid-19), ingegnere, professore universitario, da 3 anni vicesindaco di Padova con delega alle politiche del territorio, urbanistica sostenibile, edilizia privata, agenda digitale, mobilità. Per il M5S Enrico Cappelletti, laurea in Scienze politiche, consulente per società di certificazione green, eletto al Senato nel 2013 si è occupato soprattutto di Giustizia; non ricandidato nel 2018, è stato fino a marzo 2020 nella segreteria tecnica di Vito Crimi. Per Italia Viva Daniela Sbrollini, diploma di liceo classico, dipendente Anci, inizia la carriera politica nel 2002 da consigliera provinciale Ds di Vicenza; dal 2008 due legislature alla Camera, dal 2018 senatrice di Italia Viva.
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Liguria: due giornalisti in campo
In Liguria contro Giovanni Toti (ex giornalista di Mediaset), c’è un’alleanza del M5S e del Pd con Ferruccio Sansa, laurea in Giurisprudenza, giornalista de Il Fatto Quotidiano. È alla prima esperienza politica, come Aristide Massardo, ex preside di Ingegneria all’Università di Genova, sostenuto da Italia Viva.
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La Campania vale 25 miliardi
In Campania, contro Vincenzo De Luca (Pd), per il centrodestra corre Stefano Caldoro, laureato in Scienze politiche, già sottosegretario, viceministro all’Istruzione, e ministro per l’Attuazione del programma. È già stato Presidente della Regione dal 2010 al 2015, dove da una parte ha risanato il buco sanitario (da meno 595 milioni a più 70, anche grazie a un aumento del Fondo sanitario nazionale di 900 milioni in 5 anni), dall’altra non è riuscito a migliorare la qualità della Sanità (come risulta dagli indicatori sui Livelli essenziali di assistenza che «pesano» l’offerta sanitaria di una Regione in prevenzione, prestazioni territoriali e ospedali). Su di lui oggi pende una richiesta di rinvio a giudizio per traffico di influenze. Per il M5S Valeria Ciarambino. Nell’archivio del Ministero dell’Interno il titolo di studio indicato è «licenza media superiore», di professione fa la riscossione tributi per Equitalia. Eletta come consigliere regionale nel 2015, vicina a Luigi Di Maio (che è stato suo testimone di nozze), è la leader del Movimento in Regione.
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Puglia: ricompare Fitto
In Puglia contro Michele Emiliano (Pd) il centrodestra schiera Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia), laureato in Giurisprudenza, già deputato, ministro per gli Affari regionali, eurodeputato, ma anche presidente della Puglia dal 2000 al 2005. Sotto la sua amministrazione vengono stipulati i più rischiosi contratti derivati (870 milioni di euro) esponendo la Regione al rischio default, che si salva perché il suo successore (Vendola) li fa rinegoziare. Per il M5S Antonella Laricchia, 34 anni, laureanda in architettura, guida turistica, volontaria per la Pro loco, alle elezioni regionali di maggio 2015 si è candidata alla presidenza risultando il secondo candidato più votato. Da allora è capogruppo del movimento in Consiglio regionale. Per Italia Viva corre Ivan Scalfarotto, laurea in Giurisprudenza, consulente strategico nel campo delle Risorse Umane e del Diversity Management, deputato dal 2013, tre volte sottosegretario, oggi agli Esteri.
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Chi si gioca la Toscana
In Toscana tutte new entry. Il Pd e Italia Viva candidano Eugenio Giani, laurea in Giurisprudenza, in consiglio comunale a Firenze da 30 anni, 3 volte assessore comunale. Dal 2010 in Consiglio regionale, di cui diventa presidente nel 2015. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia scelgono Susanna Ceccardi, giovanissima, 33 anni, diploma di liceo classico (nel curriculum indica che ha terminato gli esami di Giurisprudenza e che la tesi è «in corso di predisposizione»), professione non pervenuta (il Ministero dell’Interno la indica come «condizioni non professionali»), eletta in quota Lega nel 2011 nel consiglio comunale di Cascina (45.129 abitanti), di cui diventa sindaco dal 2016 al 2019. Nel 2018 entra anche nello staff di Salvini ministro dell’Interno come consigliera per il programma di governo e le attività parlamentari. Lascia gli incarichi nel 2019 per il Parlamento europeo, dove fa il pieno di voti. Le sue ultime attività all’Europarlamento: due interrogazioni scritte intitolate «L’Europa non blocchi i prodotti sicuri dell’economia circolare pratese» e «Sfruttamento del lavoro minorile in Pakistan». Per il M5S c’è Irene Galletti, laurea in Giurisprudenza, specializzata alla Sant’Anna di Pisa in Diritti umani e cooperazione internazionale, è stata allieva ufficiale alla Marina militare di Livorno, portavoce dell’aeroporto di Pisa, responsabile di un reparto antifrode di un’azienda di telecomunicazioni, entra in politica nel 2015 come consigliera regionale e portavoce del movimento.
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Marche: gli sfidanti dai Comuni di provincia
Tutti candidati nuovi anche nelle Marche. Maurizio Mangialardi (Pd più Italia Viva), diploma di perito agrario e in scienze erboristiche, commerciante, una carriera politica tutta a Senigallia (44.659 abitanti) dal 1994, prima come consigliere, poi assessore (lavori pubblici, urbanistica, infrastrutture), ed infine sindaco con 2 mandati. Presidente Anci Marche. Rinviato a giudizio lo scorso dicembre per l’alluvione del 2014 che fece esondare il fiume Misa uccidendo 4 persone. Per il centrodestra si presenta Francesco Acquaroli, 45 anni, laurea in Economia, consulente finanziario, militante An, poi Pdl, ora Fratelli d’Italia. Nel 1999 diventa consigliere comunale di Potenza Picena, nel 2010 entra in consiglio regionale, da cui si dimette a luglio 2014 perché eletto sindaco di Potenza Picena (15,8 mila abitanti), carica che lascia nel giugno 2018 dopo essere diventato deputato alla Camera. Incarico che ora è pronto ad abbandonare per diventare governatore. Una vita in campagna elettorale: nel 2015 già candidato alla carica di governatore e nel 2019 in corsa per il parlamento europeo (in entrambi i casi non è stato eletto). Gian Mario Mercorelli (M5S), dal 2012 è consigliere comunale a Tolentino (18.000 abitanti), in provincia di Macerata. Dal suo curriculum: approfondita conoscenza tecnica dei mezzi fotografici.
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Quando le Regioni cambiano il governo
Delle sei Regioni che vanno al voto, tre non hanno conosciuto l’alternanza tra centrodestra e centrosinistra: Veneto (centrodestra), Toscana e Marche (centrosinistra). Oggi 13 Regioni sono amministrate dal centrodestra, 6 dal centrosinistra e 2 (Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) da partiti regionalisti. Ormai da anni, il risultato elettorale delle Regionali è considerato anche un banco di prova per la tenuta del Governo. Perdendo alle Regionali del 2000 per 8-7 contro il centrodestra, Massimo D’Alema si dimette da presidente del Consiglio, definendolo un «atto di sensibilità politica». All’epoca il centrosinistra conservava comunque 8 regioni, 2 in più rispetto ad oggi. Nel 2005 una sconfitta più rovinosa, pari 12 a 2, induce Silvio Berlusconi a procedere a un rimpasto di governo. A causa delle regionali sarde del 2009 Walter Veltroni lascia la segreteria del Pd, mentre grazie a quelle emiliano-romagnole dello scorso gennaio il Governo Conte tira un sospiro di sollievo.
L’articolo 51 della Costituzione stabilisce che «Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», ovvero aver compiuto 25 anni per i deputati e 40 per i senatori. Ci sono poi cause di incompatibilità (doppi incarichi) e ineleggibilità (condanne con interdizione dai pubblici uffici), incandidabilità (legge Severino). Non è prevista una norma che imponga di accedere alle alte cariche dopo aver percorso tutte le tappe: consiglio di zona, comunale, regionale, parlamento. Non è richiesta la produzione di risultati oggettivi nel corso della propria attività politica, tantomeno di aver svolto con successo mansioni di alta responsabilità nel caso di reclutamento dalla società civile. Di fatto i partiti hanno da tempo hanno abdicato alla responsabilità di formazione della propria classe dirigente, candidando spesso soggetti privi di esperienze adeguate, oppure scommettendo sull’impatto mediatico di volti noti. In politica non contano i requisiti richiesti in qualunque altro settore, e poco importa se da loro poi dipendono le sorti di un Paese. Una questione di cui si discute da fine Ottocento.
dataroom@rcs.it
(ha collaborato Alessandro Riggio)
CORRIERE.IT
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