La linea di separazione tra civiltà e barbarie

Ma perché le cose stanno così? Perché questa sostanziale indifferenza che assomiglia spesso a un vero e proprio ottundimento etico-politico? Perché questa costante sottovalutazione della portata di quanto accade, della sua minaccia per i nostri interessi e i nostri valori? Le ragioni sono molte, ma quella che tutte le riassume, la principale, consiste in una forma di clamorosa miopia storica che produce un altrettanto clamoroso autoinganno. I popoli dell’Occidente si credono ancora il centro del mondo. A dispetto delle idee internazionalistico-democratiche che essi perlopiù professano, in realtà nel loro intimo sembrano credere di essere ancora i padroni indiscussi del processo storico, i soli capaci di pensarne i parametri in modo adeguato, e che nulla e nessuno potrà mai scalzarli da questo ruolo. Faticano a rendersi conto dei drammatici cambiamenti intervenuti nei rapporti di potere planetari, delle nuove dipendenze economiche che sempre più li condizionano. Non sono capaci d’intendere le conseguenze potenzialmente drammatiche che comporta la crisi profonda di alcune dimensioni che furono viceversa fondamentali per la loro affermazione storico-mondiale: per dire solo le prime che vengono alla mente, la fede religiosa fondata sul lascito giudaico-cristiano, l’istituto della famiglia, un sistema d’istruzione orientata all’umanesimo nutrito dalla tradizione classica.

Tutte cose da tempo lasciate sostanzialmente in abbandono e con giuliva spensieratezza considerate «superate». Ma la cui perdita ha avuto, tra i tanti altri, l’effetto decisivo di farci credere ormai obsoleto, in certo senso addirittura ridicolo, il concetto etico-politico di barbarie. È accaduto infatti che dalla giusta lezione impartita dall’antropologia — secondo la quale tutte le culture hanno pari ragione e dignità di esistere nella loro enigmatica diversità, sicché non ha senso stilare gerarchie e parlare di «civiltà» e di «barbarie» — da questa sacrosanta lezione, dicevo, si è giunti a concludere che allora anche tra i valori politici non fosse legittimo istituire alcuna reale linea divisoria tra bene e male. A partire da almeno una ventina d’anni, proprio mentre in tutte le sedi si celebrava ogni giorno il festival mondiale dei «diritti umani», contemporaneamente ma paradossalmente nel nostro discorso pubblico sulle cose del mondo, invece, concetti come «libertà», «diritto», «dispotismo», «violenza», «eguaglianza» cadevano pian piano in disuso, e la distinzione tutta storica e politica tra «civiltà» e «barbarie», risalente all’illuminismo, veniva equiparata più o meno a un cascame ideologico da «guerra fredda». Prima ancora dell’evanescente politica estera europea è l’opinione pubblica euro-occidentale, insomma, che nel suo giudizio a proposito del mondo è caduta in uno stato di atonia, di un sostanziale agnosticismo relativista che dagli omicidi di Stato egiziani o iraniani all’arroganza totalitaria cinese le permette di accettare sostanzialmente tutto, di accettare la barbarie senza fiatare.

CORRIERE.IT

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