Da Liedholm alla rovesciata di Parola. “La leggenda dei Panini, i Disney italiani”
di WALTER VELTRONI
È appena uscito ’Panini. Storia di una famiglia e di tante figurine’, il nuovo libro di Leo Turrini (320 pagine, 18 euro). Per concessione della casa editrice Minerva, pubblichiamo la prefazione al libro, scritta da Walter Veltroni.
Roma, 21 settembre 2020 – È una grande storia italiana, quella raccontata magnificamente da Leo Turrini. Un giornalista legato alla sua terra, non scevro di passioni sanguigne, appassionato dell’epica dello sport si è messo, come un investigatore del tempo, a ricostruire l’epopea di una delle famiglie della nostra imprenditoria il cui nome è entrato, letteralmente entrato, nelle case di intere generazioni di italiani.
Tutti coloro che sono stati bambini a partire dagli anni Sessanta sanno infatti chi sono i ’Panini’. Hanno comprato i loro album, incollato le loro figurine, scritto, ansiosi di risposta, al loro indirizzo di Modena. I fratelli Panini sono entrati nell’immaginario collettivo. Quel cognome identificava delle irremovibili e struggenti madeleines di ciascuno. Quelle figure di altri, sconosciuti, sono, nella nostra memoria, quella di noi una volta bambini. Fossero l’immagine maldestramente colorata da un litografo di Parma del coriaceo centrocampista ’Maciste’ Bolchi, prima figurina Panini, quella di Garibaldi in ’Uomini illustri’ , le vignette di Prosdocimi che riproducevano gli idoli canori del tempo, da Celentano a Tony Astarita, le fotografie di inconsapevoli canguri nelle collezioni sugli animali. Quei rettangoli di carta ci ricordano i nostri pomeriggi senza pensieri e ansie. E con l’assoluta fiducia nel futuro.
Le figurine si prestavano a un doppio uso, individuale e collettivo. Tanti anni fa mi capitò di scrivere, per celia, un saggetto sulla teoria marxiana a proposito del valore d’uso e di scambio applicandola alle figurine. Io rifuggivo, da ragazzo, da un uso che consideravo prosaico, volgare e blasfemo delle immagini ’Panini’. Non avrei mai aperto un commercio lascivo, uno scambio mercantile che avrebbe finito col ledere la sacralità di quelle fotografie colorata.
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