Da Liedholm alla rovesciata di Parola. “La leggenda dei Panini, i Disney italiani”

La sfida per completare l’album era con chi lo aveva prodotto e, quindi, imbastire un sordido mercanteggiamento con coetanei era da me considerato immorale. In questi scambi, con figurine orrendamente spiegazzate appallottolate nelle tasche di grembiuli blu, veniva fissato, di solito dal più forte dei mercanti un prezzo. Se l’acquirente era milanista, l’immagine di Rivera ne valeva, allo scambio, almeno tre. Se poi l’avido venditore percepiva nel cliente il febbrile bisogno di una specifica figurina per completare una pagina o una squadra, allora il prezzo lievitava e un ghigno alla Scrooge compariva sul viso di chi, come un cucciolo di sfruttatore, usava il bisogno altrui per accrescere il proprio capitale.

I fratelli Panini sono stati i nostri Disney. Hanno lavorato per farci felici. Non erano dei figli di imprenditori. Erano otto, intanto. E scusate se è poco, in tempi di gramigna demografica. Ed erano povera gente. Il padre, Tonino, dopo aver combattuto sugli incerti aerei della prima guerra mondiale era morto giovane, neanche quarantacinque anni. Aveva lasciato queste otto creature e immagino che, chiudendo gli occhi, nell’Italia buia e affamata del 1941, avrà pensato con terrore al loro futuro. Ma doveva fidarsi della genialità della donna che lo aveva accompagnato nella vita. Perché Olga, figlia di un casaro, amava la lettura e aveva un carattere a prova di bomba. Qui, nel racconto di Turrini, fa irruzione il caso, il meraviglioso o terribile arbitro del nostro destino.

Se un giorno non fosse accaduto quello che Turrini racconta, la storia di quella famiglia e di milioni di bambini nel mondo sarebbe stata diversa: “Olga non rimase insensibile, quando una sera ascoltò il racconto della figlia Veronica, appena tornata a casa dal lavoro. Veronica aveva trovato un’occupazione presso uno studio legale di Modena. Faceva la dattilografa e aveva captato le confidenze del titolare, l’avvocato Guidelli. Costui si lamentava perché un suo socio non riusciva a risolvere un grattacapo: aveva dato in gestione una edicola a un tizio che puntualmente si dimenticava di pagare l’affitto. Forse l’unica soluzione era chiuderla, l’edicola. Del resto, mica c’era la coda, per acquistare una copia del Corriere della Sera o la rivista dedicata agli idoli del cinema in bianco e nero”.

C’era il fascismo e i giornali erano pochi e tutti dicevano le stesse cose. Ma Olga, vede il futuro e racimola le seimila lire necessarie per rilevare l’edicola della piazza di Modena. Ancora Turrini, usando le parole di Umberto: “All’alba del 6 gennaio 1945, noi due fratelli più piccoli, Franco ed io – 27 anni in due, pantaloni corti e calzettoni fatti in casa – andammo insieme ad aprire quel chioschetto. Venimmo incaricati noi due perché Franco aveva una certa esperienza nel settore, era infatti garzone presso la cartoleria Gialuppi. Quel giorno c’era la neve, tanta neve, un mucchio di neve così alto che non si trovava la porta. Era un chiosco esagonale e tutte le ante sembravano uguali, tanto che al primo colpo scavammo dal lato sbagliato e dovemmo ricominciare a scavare finalmente aprimmo la porta e spalancammo le finestrelle”.

Si immagina la scena, la loro emozione per i primi clienti. Dopo pochi mesi, con la Liberazione, le edicole saranno invase da giornali di ogni tendenza e quella neve si scioglierà mostrando fiori di tutti i colori.

Il resto della storia la leggerete qui. Troverete la fatica, il coraggio, la genialità, la sensibilità di ragazze e ragazzi figli del popolo diventati, in poco tempo, quando la speranza non era un’illusione, degli imprenditori di giochi intelligenti, come sono le figurine. Quando, con l’Unità, stupendo molti riproponemmo i vecchi album dei calciatori, avemmo un successo incredibile. Il giornale era esaurito alle otto di mattina in tutta Italia. Gramsci, attento alla cultura popolare, credo sarebbe stato contento. Gli esseri umani hanno bisogno di codici unitari per la memoria, che siano una canzone, un film, un libro. O l’immagine di ragazzi nati durante la guerra che, a venti anni, sorridevano ai bambini da un album prodotto a Modena, Italia.

I Panini sono un pezzo dell’identità e della genialità del nostro paese. Li ho conosciuti. Erano persone semplici e curiose. Amavano la loro terra, i motori, la cultura, il gioco, gli animali. Erano emiliani, italiani, figli di un mondo che esploravano con curiosità. E oggi dei bambini, o dei grandi, che parlano decine di lingue diverse sanno che ciò che li diverte oggi e li commuoverà domani, è nato in Italia. E risiede in un luogo. Magico come Disneyland. Il luogo è Viale Emilio Po, al 380.

Emilio Po era un ebanista, soldato, partigiano. Ucciso dai fascisti in un modo barbaro. Era un emiliano, un italiano, un cercatore di libertà. È bello che al suo nome sia associata la storia della famiglia Panini e che quel nome sia stato scritto nel tempo, migliaia di volte, da ragazzi che desideravano gioia e gioco.

I Fratelli Panini assomigliano all’Italia migliore. La loro storia, raccontata da Turrini, infonde speranza, fiducia e orgoglio.

Fatica e genio. L’Italia.

QN.NET

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