Il Pd, il M5S, il governo: due messaggi dalle urne
Zingaretti ieri ha ribadito che, se quel patto fosse stato accettato, la coalizione di Palazzo Chigi avrebbe vinto un po’ dovunque. C’è da dubitarne. In regioni come il Veneto la forza del governatore leghista Luca Zaia non era contendibile. E nella stessa Liguria del patto M5S-Pd il centrodestra ha prevalso: anche se per le opposizioni il bilancio è agrodolce, se non amaro. «Perdono» vincendo. Soprattutto la Lega di Matteo Salvini si ritrova a fare i conti con il profilo di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia; e con la silhouette ingombrante di Zaia.
Il centrodestra appare vittima delle proprie ambizioni smisurate, che lo ha reso miope. Pensava di scardinare la Toscana ormai da anni «rossa» in modo sbiadito, finendo per mobilitare la sinistra e perfino per riavvicinare una tantum Zingaretti ai renziani. E in Puglia ha dato per scontata una vittoria rivelatasi più difficile del previsto. Così, pur avendo conquistato le Marche e confermato Veneto e Liguria, all’opposizione non è riuscita la spallata: ha ottenuto un’affermazione inferiore a quella che aveva accarezzato e sbandierato.
L’errore politico è stato proprio quello di additare un successo schiacciante, per poi ritrovarsi con un risultato più sfaccettato. E, per paradosso, l’esito è di puntellare l’odiato governo Conte che si voleva abbattere. Le logiche locali stavolta hanno prevalso sulla politica nazionale. E questo ha finito per fare emergere un «partito dei governatori» trasversale ed emancipato dai leader di partito; anzi, tendenzialmente destinato a offuscarne il primato, e in prospettiva ad affiancarlo e sostituirlo.
Zaia, Vincenzo De Luca in Campania, Giovanni Toti in Liguria, Michele Emiliano in Puglia brillano ormai di luce propria, come Stefano Bonaccini in Emilia Romagna. A guardare bene, lo stesso Zingaretti è arrivato alla guida del Pd essendo tuttora presidente della regione Lazio. Sono personaggi radicati, al contrario di un grillismo che non a caso fatica a diventare proposta o alternativa. E vede declinare le sindache delle due città-vetrina, Roma e Torino, che dovevano essere punti di partenza e stanno invece anticipando il capolinea del Movimento; e rendendolo un potenziale focolaio di instabilità.
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