“Il tempo dell’antipolitica è finito”. Intervista a Giuseppe Provenzano

Ecco, la crisi del M5S. Teme dunque che possa diventare l’alibi per un nuovo immobilismo?  

C’è una discussione al loro interno, che noi rispettiamo. Quel movimento era espressione dell’antipolitica. Ma l’antipolitica, a mio avviso, è arrivata al capolinea. Stanno finalmente emergendo posizioni coraggiose, come quella del Ministro Patuanelli che chiede al movimento “una scelta di campo”. C’era quella frase di Bobbio: “Si interrogano sul loro destino e non hanno capito la loro natura. Capiscano la loro natura e risolveranno il problema del loro destino”. Ecco, il M5S deve sciogliere il nodo della sua natura, da questo dipende anche il destino dell’alleanza.

C’è anche la frase di Grillo sull’inutilità del Parlamento e i parlamentari eletti a sorte, piuttosto rivelatrice di una certa cultura politica.

Ognuno fa le citazioni che preferisce. In ogni caso, se era un contributo alla discussione nel Movimento, non mi è sembrata un’uscita proprio tempestiva. Se era una battuta, non faceva ridere.

Prima della fine dell’antipolitica, tutta da vedere, un’ultima domanda sul governo. Se come dice lei difficoltà oggettive come i numeri in Parlamento dovessero impedire la nuova direzione di marcia che lei indica, la parola voto è un tabù?

La parola voto non può essere mai un tabù in democrazia. Ma nella nostra democrazia la pronuncia il Presidente della Repubblica. Il Governo ha gestito la crisi più difficile dal dopoguerra, guadagnando prestigio e considerazione internazionale e anche tra gli italiani. Ora ha una grande opportunità, grazie alla svolta europea, uscire da questa crisi con più equità e sviluppo. La vita del Governo è legata a mio avviso solo a questo: essere all’altezza di questa sfida, che l’Italia non può sprecare.

Dicevamo, la fine dell’antipolitica. Mi sembra un po’ ottimistico, anche dopo che avete appoggiato il referendum, che rappresenta il simbolo e il frutto maturo.

Quel referendum non era il trionfo, ma il canto del cigno dell’antipolitica. Ecco perché abbiamo fatto bene a non regalare e relegare a quel campo il 70 per cento degli italiani che ha votato Sì. Ho sempre detto che nel No c’era una domanda di buona politica che è nel nostro Dna. Ora dobbiamo raccoglierla nel processo riformatore che, grazie al Pd, mettiamo in campo. Ma sull’antipolitica servirebbe un ragionamento più di fondo, non so se lei è interessato.

Poi sono io che voglio litigare… Prego, prosegua.

L’antipolitica è una malattia cronica dell’Italia, che si riacutizza quando la politica diventa impotente. Ma facciamoci una domanda: quale è la sua radice? La Casta è stata solo un formidabile innesco, ma la polvere era il senso di frustrazione delle persone. Con l’austerità, con il neoliberismo, la politica si era legata le mani. “Non c’è alternativa” è stato il motto con cui si portavano avanti politiche antisociali. Ma se non c’è alternativa, la politica a che serve? Allora è solo un costo. Ora siamo in una fase del tutto nuova. C’è stata una svolta sul terreno economico-sociale, non solo rispetto al governo precedente, ma rispetto a una stagione lunga. Dopo la pandemia, la politica torna a incidere e si è dotata degli strumenti per migliorare la vita delle persone.

Svolta. Io la vedo sul terreno della collocazione internazionale, e non è poco, perché avete collocato il paese in Europa. Ma sul terreno economico sociale non la vedo. Vedo misure tampone necessarie, come i bonus, quando è scoppiata l’epidemia, che ora rischiano di diventare cattiva spesa pubblica.

La verità è che non ve ne siete accorti, perché nemmeno vi interessa. L’idea che se fai politiche per redistribuire, se provi a includere e allargare le basi sociali della democrazia non sei riformista, o addirittura sei populista, è degna dell’universo capovolto degli anni in cui andava di moda il liberismo di sinistra. Quello che si è staccato dal popolo, che resiste quasi solo in Italia, tra gli editorialisti economici anche dei quotidiani che si ritengono progressisti. Stanno su twitter a parlare di Stato e mercato, potrebbero almeno leggere il Financial Times, che su questi temi è assai più avanti.

È la critica che fanno mondi produttivi, settori importanti del suo partito hanno posto anche la questione del reddito di cittadinanza. Il tema del debito buono e cattivo lo ha sollevato anche Mario Draghi, che il Financial Times lo legge. O pensate di prolungare in eterno la cassa integrazione?

Già nella Nadef avvieremo un percorso di uscita dall’emergenza. Ma difendo il blocco dei licenziamenti per quest’anno, tanto criticato. Nessun rilancio può fondarsi sull’angoscia delle persone. Poi, Draghi sul debito ha ragione. Infatti noi ci indebitiamo per fare investimenti. Segnalo che anche la solidarietà, l’inclusione sociale, è un investimento, su una società capace di liberare il potenziale di tutti. Ora che nessuno sano di mente può mettere in discussione Zingaretti, si apre lo spazio per una vera discussione politica, anche nel Pd.

Discussione significa congresso?

Le modalità le deciderà la segreteria. Ma dobbiamo sciogliere alcune ambiguità che ci hanno impedito, ad esempio, di rivendicare a pieno quella svolta economica e sociale. Nella crisi precedente avevamo dato austerità, ora una prospettiva anche a chi soffre di più. Da chi dovrebbe rappresentare gli imprenditori arrivano critiche qualunquiste. Dov’è il pregiudizio anti imprese? Siamo il Governo che con la Germania ha aiutato di più le imprese. C’è troppo Stato nell’economica? Ma meno male che esistono le nostre grandi imprese pubbliche. Sono un patrimonio del Paese, oltre che del bilancio di Confindustria.

Avete abbandonato il riformismo, è l’accusa. Inteso come visione generale.

E che cos’è il riformismo, oggi? Su questo dobbiamo chiarisci.

Non è liberismo, ma è anche l’opposto dell’assistenzialismo. O no?

Per me è coniugare sviluppo ed equità. Le pare che io mi debba difendere nel mio partito se voglio investire al Sud, riequilibrando lo sviluppo? Il meridionalismo è nel dna della sinistra. E a proposito, il Reddito di cittadinanza non è e non poteva essere una politica per creare lavoro. Anzi, va modificato l’impianto proprio su questo aspetto. Ma quando sento parlare, anche sinistra, “gente pagata per stare sul divano” lo trovo rivelatore di un atteggiamento inaccettabile. A meno che non vuoi fare la “sinistra da salotto”.

Parliamo di popolo, allora. Avete pareggiato alle elezioni e sembra che avete preso la Bastiglia…

Le racconto una cosa. Mi ha sempre colpito, da siciliano, che nel giorno della presa della Bastiglia a Palermo si festeggia Santa Rosalia. Parlerei più di un miracolo, se penso a quello che ha fatto il Pd di Zingaretti. E sono veramente tristi le persone incapaci di riconoscere i miracoli. Mi dispiace che lei non li riconosca.

Sarò triste, ma io più che un miracolo vedo una tenuta, dovuta al consenso verso gli uscenti in epoca di Covid, ma non uno “spostamento a sinistra” come si sarebbe detto una volta.

Ma quale tenuta, De Angelis? Avevamo un Pd nelle macerie. Nel 2018 scrivevate che c’era il bipolarismo tra due populismi e noi marginali. Ora siamo al centro dello scenario politico, dalle regionali veniamo fuori come il primo partito. Ovunque abbiamo combattuto la destra peggiore della nostra storia, spesso da soli, e di certo non con la simpatia dei grandi gruppi economici ed editoriali. Non vorrei tirarla in causa anche personalmente…

Mi ci tiro da solo. Qui non è questione di gruppi editoriali, salotti, o compagni che sbagliano. Qui c’è un tema che ha che fare con la moralità. Brutalmente: se come De Luca ed Emiliano vinci imbarcando riciclati di destra e clientele con un uso disinvolto della spesa pubblica. Hai vinto, ma non cambia niente.

Brutalmente: anche qui le sfugge il punto politico di fondo. Consegnare alla destra di Salvini e Meloni due regioni del Sud, che negli ultimi anni avevano conosciuto processi importanti di crescita e modernizzazione, sarebbe stato imperdonabile. Come diceva Talleyrand: peggio di un crimine, un errore politico. Con conseguenze per l’Italia tutta.

Non mi ha risposto. Cosa ci trova di rottura nel Sud rispetto al sistema clientelare che avete combattuto? È questa la sua idea di Sud e addio a Enrico Berlinguer che denunciava i “partiti come macchine di potere e clientele”?

Le dico, nel giorno in cui è uscito il secondo libro di Scurati, che non amo gli uomini della provvidenza. Penso che il trasformismo sia il male antico dell’Italia e soprattutto del Sud. Che si può nascondere dietro il proliferare di liste civiche e personali. Ma il punto politico è che il Sud ha detto No a Salvini. E infatti la destra si sta interrogando. Io mi batto per un Sud libero, anche dal ricatto del bisogno. Le clientele non le batti con il moralismo, ma con lo sviluppo e il lavoro buono. Per questo ora dobbiamo avere al Sud un Pd all’altezza.

Cioè che combatta questi metodi dei governatori?

Con una nuova classe dirigente, in grado di parlare con la parte migliore della società meridionale. A Napoli, ad esempio, con un segretario di trent’anni, che sta facendo un ottimo lavoro, abbiamo iniziato e siamo il primo partito.

Ho capito, è un auspicio. Di più “coraggio” su tutto.

Non è un auspicio, è una battaglia politica.

L’HUFFPOST

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