Riforme di lungo periodo per costruire il futuro

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di   Francesco Giavazzi

I nomi sono sempre importanti e hanno un significato preciso. Il nome del programma non è Recovery fund, Fondo per la ripresa, ma Next generation Eu, l’Europa delle nuove generazioni. Non è una differenza solo lessicale: vuole sottolineare che il nuovo programma non dovrà essere costruito avendo in mente gli europei di oggi, ma quelli di domani. Mi chiedo se questa attenzione alle generazioni future sia presente in chi sta preparando il programma che il governo italiano invierà a Bruxelles fra due settimane. In caso contrario le nostre proposte potrebbero, a ragione, non essere accolte. Ma se sarà, come è auspicabile, un programma rivolto alle generazioni future, dovrà essere molto diverso, spesso in contrasto, con alcune delle misure che il governo oggi sta varando. Prendiamo ad esempio il futuro del Mezzogiorno.

I Paesi poveri sia di capitale fisico che di capitale umano non possono fare altro che specializzarsi nella produzione di beni «poveri», che richiedono più lavoro che capitale e costano poco grazie a salari relativamente bassi. Invece, Paesi ricchi sia di capitale fisico che di capitale umano, possono permettersi salari elevati. È la differenza che c’è fra il Vietnam e la Germania.

Ci sono poi Paesi intermedi: hanno un buon capitale umano, spesso grazie alla loro storia, alla loro cultura e ad una buona istruzione, ma scarso capitale fisico, magari perché hanno cattive istituzioni che allontano gli investitori. Questi Paesi, come ha osservato uno dei più brillanti economisti dei giorni nostri, Dani Rodrik, hanno due strade: accontentarsi di una tecnologia povera e puntare sul basso costo del lavoro, oppure investire, adottare le migliori tecnologie e permettersi alti salari. Quale strada imboccano dipende dalle scelte dei loro governi.

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